Unibo, il boom dei brevetti
Il prorettore Rotolo: « Merito dell’apertura verso le imprese, ma anche della mentalità dei ragazzi» L’Alma Mater ne ha prodotti 370 negli ultimi due anni: una crescita dell’85%
Idee, studi, intuizioni, ricerche che diventano progetti spendibili direttamente sul mercato. Brevetti. Solo tra il 2015 e il 2017 dalle aule, dai laboratori e dalle biblioteche dell’Università di Bologna ne sono usciti 370, tra quelli richiesti e quelli già ottenuti. Un numero che nel giro di soli due anni è aumentato dell’85% (+170), e che continuerà a crescere anche nel 2018.
«Parliamo di brevetti che in due anni sono stati partoriti da una cinquantina di idee, che chiamiamo “famiglie di brevetti” e che stanno crescendo al ritmo di venti all’anno», spiega Antonino Rotolo, prorettore per la ricerca dell’Alma Mater.
Le innovazioni sono seguite da Aric, l’unità dell’ateneo che monitora tutto il percorso della valorizzazione della proprietà intellettuale. Alla base di questo boom, spiega Rotolo, c’è soprattutto la «Terza Missione» del rettore Ubertini: una strategia mirata per aprire le porte dell’Ateneo alle aziende e incrementarne le entrate.
Oggi è solo un’idea, ma domani chissà. Sono sempre di più gli studenti, i dottorandi e i ricercatori dell’Alma Mater che provano ad uscire dal mondo accademico, grazie anche a qualche professore lungimirante, per trasformare i loro studi in un progetto spendibile direttamente sul mercato. Magari fin da subito.
Solo tra il 2015 e il 2017 dalle aule, dai laboratori e dalle biblioteche dell’Unibo sono usciti 370 brevetti, tra quelli richiesti e quelli già ottenuti. Un numero che nel giro di soli due anni è aumentato dell’85% (+170), e che continuerà a crescere anche nel 2018. «Parliamo di 370 brevetti che in due anni sono stati originati e partoriti da una cinquantina di idee, che chiamiamo ‘famiglie di brevetti’, e che stanno crescendo al ritmo di venti all’anno — sottolinea Antonino Rotolo, prorettore per la ricerca dell’Alma Mater —. Da una singola invenzione possono derivare diversi progetti da provare a spingere sul mercato, certificandoli».
Di fatto un primo trampolino di lancio per cercare qualcuno, da un’impresa ad un business angel, disposto ad investire sulle intuizioni e le lampadine che si accendono ogni anno dentro l’Unibo. Ogni brevetto è diviso per area: da quella agro-alimentare, a quella di chimica e biotecnologie, farmaceutica, ingegneria medica, meccanica ed edile, elettrica ed elettronica e varietà vegetali. Dal concentratore solare a base di silicio che permette di raccogliere energia senza utilizzare materiali tossici, ad una macchina che prepara bevande calde in modo sostenibile, alle nuove specie di ciliegio e pero scoperte dai ricercatori di agraria, agli occhiali a realtà aumentata in grado di proiettare nel campo visivo dell’operatore di area sanitaria dati, informazioni ed immagini statiche o dinamiche, ad una nuova terapia per il morbo di Alzheimer, ad uno strumento portatile per conoscere la qualità del prodotto agricolo che si ha in mano.
Tutte innovazioni seguite da Aric, un’ unità dell’ateneo pensata apposta per monitorare tutto il percorso della valorizzazione della proprietà intellettuale. «Il brevetto è uno strumento che ha diverse finalità — continua il prorettore —: è una forma di protezione, ma anche di valorizzazione. Come Ateneo stiamo mettendo in campo varie dinamiche: il brevetto da un lato rimane all’Università e lo valorizziamo attraverso contratti di licenza con aziende interessate ad utilizzarlo. Di fatto l’idea rimane nostra, ma le imprese ci pagano per sviluppare e industrializzare i singoli progetti dei nostri ricercatori, per poi impiegarli a seconda delle loro necessità. Dall’altro lato c’è anche l’opzione spin-off». Cioè permettere agli stessi studiosi di unirsi e creare delle piccole società di capitali, basando il proprio business sulle loro attività di ricerca nate direttamente nell’Ateneo, e dove la stessa Università partecipa in qualità di socio.
Una soluzione che ha portato fortuna a MiaMed. Nata come spin-off dell’Unibo per dare un futuro ad una terapia proteica per la cura di una malattia rara degenerativa, la sindrome Cdkl5, per poi arrivare nel luglio 2016 ad essere acquisita dalla multinazionale americana Amicus Therapeutics. «In questi mesi stiamo anche lavorando e investendo per estendere i nostri brevetti, soprattutto quelli più importanti, a livello internazionale. Già 40 sono stati riconosciuti dagli Stati Uniti, 29 in Europa, mentre ne contiamo circa 25 a livello internazionale». E il piano è quello di continuare ad aumentare la protezione delle idee che nascono e sono nate in Unibo, soprattutto negli ultimi anni, grazie anche alla cosiddetta «Terza Missione» del rettore Francesco Ubertini.
Una strategia mirata, votata alla ricerca, fatta di licenze, brevetti e spin-off, per aprire le porte dell’Ateneo alle aziende e incrementarne le entrate. Una linea di intenti che due anni fa ha portato all’istituzione di una delegata apposta all’imprenditorialità, Rosa Grimaldi. Ma ad incidere non è stato solo questo: «I ragazzi di oggi hanno una mentalità molto più imprenditoriale di ciò che immaginiamo. Tra loro non ci sono solo ingegneri o studenti dei corsi più scientifici, ma anche chi appartiene alle scuole più umanistiche non è da meno, anzi».
Solo l’anno scorso l’Alma Mater ha registrato un aumento del 16% di progetti provenienti da Lettere e Beni culturali, al terzo posto dopo le scuole di Ingegneria e Economia, e un +10% tra i banchi di Scienze Politiche, per un totale di un buon 15% in più di idee culturali in dodici mesi. «Negli ultimi anni dalle scuole più umanistiche-sociali sono usciti quattro spin-off, non accompagnati da brevetti perché queste idee non hanno bisogno di una protezione specifica, che hanno sviluppato a tutti gli effetti un know-how imprenditoriale».
Il rischio, però, come spiega il prorettore, può essere solo quello di dimenticare quello che oggi è e continua ad essere il ruolo dell’Ateneo. «Vogliamo aiutare i ricercatori a ripensare anche su un piano economico ciò che stanno progettando, ma non bisogna dimenticarci che l’università non è un’azienda. Il nostro compito non è quello di fare business, ma di aiutare le buone idee a prendere il volo».
” Il prorettore Rotolo I ragazzi di oggi hanno una mentalità molto più imprenditoriale di ciò che immaginiamo