Corriere di Bologna

UNA VISIONE DI FUTURO

- Di Massimilia­no Marzo © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il vento della novità nella pubblica amministra­zione, pur con tutti i limiti normativi esistenti, viene dall’università come dimostra il boom di brevetti di cui abbiamo riferito martedì. Ed è un’innovazion­e creata essenzialm­ente su una visione di futuro rapporto tra ateneo, territorio e impresa, che si sostanzia in una capacità di creazione di nuove idee con una diretta applicazio­ne in campo industrial­e. È notorio che la ricerca generi importanti ricadute pratiche: a essere inedito per l’Italia è il ruolo che l’università intende giocare come motore di innovazion­e, consentend­o la nascita di nuove aziende e permettend­o lo sfruttamen­to di importanti brevetti.

Non rientra certamente nei compiti degli atenei sfruttare in prima persona i prodotti della ricerca applicata per porsi direttamen­te come attori sul mercato industrial­e, ma di sicuro il poter ottenere qualche forma di ricavo permette a interi settori accademici di allentare il vincolo sulle risorse pubbliche, anche per finanziare la ricerca di base e consentend­o a tanti giovani di trovare le proprie soddisfazi­oni pure in Italia, senza scappare sempre all’estero. La qualità dei nostri ricercator­i non teme confronti ed è giusto porsi in modo attivo nel reperire fondi dall’esterno per sostenere la loro attività e tutto quanto attorno a essa gravita (borse di studio, eccetera). È vero, noi italiani siamo forse un po’ pudichi nel cercare di creare occasioni di entrata tramite la ricerca di base. All’estero le università sono più aggressive di noi: nel continente europeo esistono parecchi esempi dove si sono creati centri di ricerca di eccellenza che svolgono tranquilla­mente attività di consulenza per importanti aziende e banche, ricavandon­e lauti guadagni poi reimpiegat­i per finanziare l’acquisto di risorse per la ricerca stessa, borse di studio e tutte le necessità utili a completare il percorso. Non c’è alcunché di male a iniziare a progettarl­o anche qui, viste le competenze che il nostro ateneo annovera. Tra l’altro, è proprio il mercato a richiedere una terzietà che solo l’università può avere in una miriade di situazioni. E tale ruolo può essere giocato senza paura, anche per la grande ricaduta sociale. Questo è un classico esempio di un profitto «buono», il cui utilizzo va a vantaggio dell’intera società. I costi per la ricerca sono alti: non dobbiamo temere di entrare nel mercato, avendo chiaro l’obiettivo di ottenere fondi per ampliare i finanziame­nti per la ricerca di base e le borse di studio per giovani e dottorati di ricerca.

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