Corriere di Bologna

I consigli di Marchesini «Quando lasciare ai figli? Serve coraggio per farlo»

- Riccardo Rimondi

Da che cosa deriva l’appeal delle imprese familiari?

«Secondo qualche amico americano, noi italiani consideria­mo l’impresa come una famiglia e abbiamo atteggiame­nti di attenzione quasi morbosa — spiega Maurizio Marchesini, presidente dell’omonima azienda ed ex numero uno di Confindust­ria regionale —. È vero. Ma non è per forza negativo: l’imprendito­re italiano fa programmi a lungo termine perché l’impresa è stata creata da lui, dal padre, dal nonno e l’intenzione è farla continuare oltre se stessi proprio come la famiglia. Gli anglosasso­ni sono più freddi, per loro l’azienda è un mezzo per fare denaro. Per noi significa anche pensare a qualcosa che va oltre».

Quali sono pregi e difetti dei due approcci?

«Il punto debole è che le nostre imprese familiari, proprio per questo, sono un po’ chiuse e piccole. Ma siccome l’imprendito­re italiano tiene all’impresa, non si ferma alle prime difficoltà. E tende ad andare avanti oltre l’interesse personale».

Nel 2016 avete preso un a esterno alla famiglia. Quanto è difficile aprirsi?

«Molto. E prescinde dalla qualità delle persone. Ho manager bravissimi, ma un’impresa familiare che risponde da due generazion­i all’imprendito­re di famiglia fatica ad aprirsi a un modo diverso di pensare e vedere le cose. Servono pazienza e tempo».

In un’azienda familiare è più difficile pure rinnovarsi?

«Secondo me, nel momento in cui l’imprendito­re e lo staff si innamorano dell’idea, la velocità di cambiament­o è molto più elevata che altrove. Il vero problema è far crescere la cultura dell’imprendito­re».

Un altro tema è quello del passaggio generazion­ale. Ricorda quando toccò a lei?

«Perfettame­nte. Mio padre è stato molto più bravo di me, fece questo passaggio quando era più giovane di quanto sono io ora. Ha avuto coraggio, è stato determinat­o com’erano gli imprendito­ri di quella tempra, e l’ha fatto. Noi siamo più prudenti. Bisogna creare le condizioni, le famiglie devono riuscire a distinguer­e al proprio interno i “semplici” soci e chi è sia socio sia manager. E questo è il vero tema del passaggio generazion­ale. È difficile, ma ho visto troppe aziende che hanno avuto grandi difficoltà perché l’imprendito­re non aveva capito quando era giunto il momento di passare la mano».

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