I consigli di Marchesini «Quando lasciare ai figli? Serve coraggio per farlo»
Da che cosa deriva l’appeal delle imprese familiari?
«Secondo qualche amico americano, noi italiani consideriamo l’impresa come una famiglia e abbiamo atteggiamenti di attenzione quasi morbosa — spiega Maurizio Marchesini, presidente dell’omonima azienda ed ex numero uno di Confindustria regionale —. È vero. Ma non è per forza negativo: l’imprenditore italiano fa programmi a lungo termine perché l’impresa è stata creata da lui, dal padre, dal nonno e l’intenzione è farla continuare oltre se stessi proprio come la famiglia. Gli anglosassoni sono più freddi, per loro l’azienda è un mezzo per fare denaro. Per noi significa anche pensare a qualcosa che va oltre».
Quali sono pregi e difetti dei due approcci?
«Il punto debole è che le nostre imprese familiari, proprio per questo, sono un po’ chiuse e piccole. Ma siccome l’imprenditore italiano tiene all’impresa, non si ferma alle prime difficoltà. E tende ad andare avanti oltre l’interesse personale».
Nel 2016 avete preso un a esterno alla famiglia. Quanto è difficile aprirsi?
«Molto. E prescinde dalla qualità delle persone. Ho manager bravissimi, ma un’impresa familiare che risponde da due generazioni all’imprenditore di famiglia fatica ad aprirsi a un modo diverso di pensare e vedere le cose. Servono pazienza e tempo».
In un’azienda familiare è più difficile pure rinnovarsi?
«Secondo me, nel momento in cui l’imprenditore e lo staff si innamorano dell’idea, la velocità di cambiamento è molto più elevata che altrove. Il vero problema è far crescere la cultura dell’imprenditore».
Un altro tema è quello del passaggio generazionale. Ricorda quando toccò a lei?
«Perfettamente. Mio padre è stato molto più bravo di me, fece questo passaggio quando era più giovane di quanto sono io ora. Ha avuto coraggio, è stato determinato com’erano gli imprenditori di quella tempra, e l’ha fatto. Noi siamo più prudenti. Bisogna creare le condizioni, le famiglie devono riuscire a distinguere al proprio interno i “semplici” soci e chi è sia socio sia manager. E questo è il vero tema del passaggio generazionale. È difficile, ma ho visto troppe aziende che hanno avuto grandi difficoltà perché l’imprenditore non aveva capito quando era giunto il momento di passare la mano».