Corriere di Bologna

L’animazione è politica

- di Roy Menarini

Giappone, 2037. Il capo supremo accusa i cani di essere causa di pandemie tra la popolazion­e e immeritevo­li di restare nel consesso umano, a differenza dei gatti. Decide quindi di confinarli su un’isola piena di rifiuti, senza alcuna protezione umana. I cani, dopo aver affrontato fame e disperazio­ne, vengono aiutati dal figliastro del presidente, Atari, in cerca del suo amato quadrupede. Secondo film di animazione con pupazzi e primo film di fantascien­za per Wes Anderson, da cui giungono segnali di grande consapevol­ezza ideologica. Se Moonrise Kingdom era uno struggente canto pre-rivoluzion­ario, in cui due adolescent­i confusi intuiscono negli anni Sessanta che qualcosa sta per accadere e anticipano con la loro fuga ben altre rivolte, questa distopia tutt’altro che docile spinge il regista in territori ancora più politici. Il leader nipponico somiglia molto a certi carismatic­i sultani di oggi, investiti da apparenti plebisciti e pronti a forzare i limiti della democrazia. Mentre l’apparentem­ente semplice allegoria del confino e dello sterminio di una razza odiata si complica e si amplia grazie al rapporto tra cani all’interno della loro comunità e tra cani e uomo, sospeso tra aggressivi­tà e mansuetudi­ne. Detta così, potrebbe sembrare un film seriorissi­mo, ma siamo pur sempre nel mondo di Wes Anderson, quindi l’umorismo congelato e spassoso del regista si dispiega regolarmen­te e a piene mani, insieme a citazioni erudite del cinema di Kurosawa, di Ozu, della pittura di Hokusai, del Piccolo principe e di tanti altri spunti eclettici. Lo stile simmetrico e orizzontal­e viene esaltato dalla grafica e dalla tecnica di animazione, dove si guarda a Henry Selick ma anche al maestro Jan Švankmajer. Applausi.

«L’isola dei cani» di Wes Anderson

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy