Quel meccanismo segreto che spiega la resistenza dei tumori ovarici alla chemio
È al centro di uno studio di Anna Maria Porcelli, prof di Unibo finanziato da Airc che domenica torna in piazza con le Azalee
Uno studio sui meccanismi che determinano la resistenza alla chemioterapia nel più frequente dei tumori ovarici. A portarlo avanti è Anna Maria Porcelli, professoressa associata del dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Alma Mater, ricercatrice di Airc che finanzia il progetto triennale. Si tratta di uno degli studi che Airc ha potuto sostenere con i fondi raccolti da iniziative come l’Azalea della Ricerca che torna domenica in 3.700 piazze italiane. Per trovare le Azalee nella propria città consultate airc.it oppure al numero speciale 840 001 001.
«Stiamo cercando di capire quali meccanismi molecolari portano al progressivo sviluppo della resistenza alla chemioterapia nei tumori ovarici, un fenomeno molto frequente in un tumore per fortuna raro — spiega Porcelli —. Inoltre cerchiamo di capire se e come sono coinvolti particolari organelli all’interno della cellula umana, i mitocondri, responsabili della produzione dell’energia necessaria per fare sopravvivere le cellule. L’ipotesi è che l’alterazione funzionale di questi organelli possa contribuire al fenomeno della resistenza alla chemioterapia standard utilizzata per curare questo tumore». Insieme alla chirurga Myriam Perrone dell’Oncologia ginecologica del Sant’Orsola, la professoressa Porcelli sta raccogliendo le biopsie di tumore ovarico di pazienti prima e dopo il trattamento chemioterapico «per analizzare le modificazioni dei mitocondri indotte dalla chemioterapia. I dati preliminari che abbiamo al momento sono molto incoraggianti».
«Al centro di questo studio c’è il tumore epiteliale dell’ovaio, quello più pericoloso e contro il quale abbiamo meno armi — prosegue —. Se si considera che il tumore alla mammella può colpire 1 donna su 8 mentre il tumore ovarico 1 su 80, possiamo definire quest’ultimo una malattia relativamente rara ma sicuramente con una prognosi infausta». Non esiste uno screening per i tumori ovarici epiteliali, e quando vengono diagnosticati sono spesso già in stadio avanzato, proprio perché crescono velocemente ed intaccano i tessuti peritoneali generando quel fenomeno chiamato carcinosi. Producono liquido ascitico, la paziente se ne rende conto quando si gonfia la pancia, e ha sensazione di discomfort».
Per questo modo di manifestarsi è soprannominato anche il killer silenzioso, proprio perché quando ci si accorge è troppo tardi. «In stadio avanzato la sopravvivenza a 5 anni è attorno al 15-20% — aggiunge Porcelli —. Il tumore
” Stiamo cercando di capire per quale motivo a un certo punto le cellule tumorali non rispondono più ai farmaci
ha due cure: la chirurgia e la chemioterapia. La chirurgia è l’approccio più auspicabile, finché è possibile, richiede la resezione di molti organi all’interno dell’addome e l’asportazione delle superfici peritoneali. Come prima istanza risponde bene alla chemio ma poi le cellule tumorali accendono una serie di meccanismi per scappare al farmaco e questo porta al ritorno della malattia». Meccanismi al centro dello studio.