Galli della Loggia «Punto di svolta, Italia da rifare»
L’intervista Ernesto Galli della Loggia parla del suo nuovo libro «Speranze d’Italia» (edito da Il Mulino) che presenterà oggi in Archiginnasio a colloquio con Angelo Panebianco
Tutti in Italia avvertiamo di vivere in un momento di incertezza, di crisi non passeggera. Il sistema politico e quello sociale sono esplosi varie volte, in molti modi. Ernesto Galli della Loggia, editorialista del Corriere della Sera, da storico e commentatore politico ha cercato di individuare le ragioni di ciò che blocca l’Italia e fa prevedere un futuro oscuro. Le ha trovate nel passato, nella vicenda che dall’Unità arriva a oggi e nelle letture che ne sono state date, trascurando elementi importanti. Ha intrecciato vari spunti in un volume del Mulino, Speranze d’Italia. Illusioni e realtà nella storia dell’Italia unita, che presenta oggi alle 17.30 per la rassegna «Le voci dei libri» nella sala dello Stabat Mater dell’Archiginnasio, in dialogo con Angelo Panebianco.
Professore, il titolo del suo libro riprende quello di un saggio scritto da Cesare Balbo alla vigilia del 1848. Intende dire che dobbiamo ricominciare tutto daccapo?
«In un certo senso sì. Dobbiamo ripensare la storia del Paese e rifare l’Italia. Lo stato, la classe dirigente, il sistema scolastico e molto altro sono inadeguati, da rifondare».
Siamo in un momento di notevole fluidità, proprio in questi giorni gli scenari stanno mutando…
«Si affacciano al potere forze nuovissime, che non hanno partecipato alla fase della fondazione della Repubblica. La Lega e il Movimento 5 Stelle sono cresciuti sviluppando la critica ai partiti tradizionali e si annuncia una grande svolta».
È quindi il momento di ritrovare i fili?
«Bisogna riconsiderare la storia di questi 150 e più anni
” Oggi rispetto al 2000 siamo meno ricchi del 20 per cento, siamo ai livelli più bassi di istruzione in Europa, la nostra sanità è tra le meno efficienti e non parliamo delle buche nelle strade della mia Roma. Tutte le strutture mostrano la corda. Bisogna cercare di spiegare le cause di questo finale in nero
di Italia e capire perché è andata a finire così male. Fino alla conclusione del ventesimo secolo, a parte la parentesi del fascismo e della guerra, era diffusa l’idea di un Paese in fin dei conti felice. Poi lo stato è entrato in dismissione e da circa 20 anni si sta inabissando. Oggi rispetto al 2000 siamo meno ricchi del 20 per cento, siamo ai livelli più bassi di istruzione in Europa, la nostra sanità è tra le meno efficienti e non parliamo delle buche nelle strade della mia Roma. Tutte le strutture mostrano la corda. Bisogna cercare di spiegare le cause di questo finale in nero».
Lei, nel libro, le individua in vari motivi, da una marginalizzazione, nel processo unitario, di città nodali come Milano a favore di Torino, nello squilibrio NordSud, nella soluzione tutta politica e sabauda del Risorgimento, che ha reso dominante il sistema dei partiti e ha portato di conseguenza consociativismo, assistenzialismo e clientelismo. Al mancato sviluppo di un vero liberalismo e di un partito conservatore e a quella che chiama «ideologia italiana», un predominio del populismo, del moralismo, dell’egemonia di una sinistra a vocazione dirigista…
«Fondamentale è stata in Italia l’assenza di un partito conservatore simile a quelli che troviamo nelle democrazie mature. La destra storica era un partito giacobino; è diventato statalista, ha gestito i grandi appalti pubblici... Si è detto che la Democrazia cristiana era in partito conservatore, ma è impreciso. Mancando questo, anche i progressisti non hanno un ruolo preciso. Le caratteristiche si mescolano, il conservatorismo diventa progressista e il progressismo conservatore. Tutti i profili ideologici risultano scombinati e incerti, pronti al trasformismo. Ma il libro vuole soprattutto porre domande».
Quali domande?
«Per esempio, perché in Italia è tanto alta la mancanza di civismo, perché non si rispetta la legge e perché la classe politica è incapace di farla rispettare? Perché è così alta l’evasione fiscale e perché nessun evasore finisce in prigione? Sono questioni, queste e altre, che attraversano i vari regimi politici succedutisi».
Abbozza anche qualche risposta?
«Quando in Italia è arrivata la democrazia, è stata costruita senza una nazione. E quindi è difficile che ci sia una vera classe dirigente, un ceto politico, e torniamo all’assenza di un partito conservatore e di schieramenti chiari. Un altro problema è che l’Italia nel mare guarda al Mediterraneo e con la Pianura Padana entra in Europa: dove sceglie di dirigersi? Nel libro provo a fornire brandelli di risposte, ma spero soprattutto, con le domande, di sollecitare la meditazione».