L’Europa li caccia E i «dublinanti» tornano all’Hub
Molti restano intrappolati nel limbo burocratico Presenze triplicate dal 2016, ecco chi sono
Sono arrivati in Italia anni fa ma hanno tentato la fortuna nel Nord Europa. Per la legge internazionale «Dublino III» devono rientrare nel paese in cui sono approdati: i «dublinanti» in città in due anni sono triplicati: da 79 a 222. Sono uomini, donne e intere famiglie.
Hanno tentato la fortuna in diversi Paesi del Nord Europa dopo essere arrivati in Italia. Non hanno però fatto domanda di asilo politico a Bologna o in altri comuni italiani, oppure se l’hanno fatta hanno deciso di proseguire lo stesso il loro viaggio della speranza in Europa senza attendere risposte. E così dopo mesi, per alcuni anche anni, sono stati trasferiti rimandati in Italia dai Paesi Ue che avevano raggiunto. Perché l’Italia è stato il loro primo paese d’approdo. E qui sono state prese per la prima volta le loro impronte digitali, conservate nella banca dati europea Eurodac. Sono le vite a metà dei «dublinanti», così chiamati perché per la legge Dublino III il Paese in cui possono richiedere una protezione internazionale è quello in cui hanno messo piede. E dunque è la che devono stare, anche se nel frattempo hanno provato a costruirsi una vita altrove.
Sotto le Due Torri, in due anni, i «dublinanti» sono triplicati: oggi nell’hub di via Mattei molti degli ospiti sono proprio loro. Nel 2016 erano appena 79, nel 2017 sono arrivati a 222. I «rimpatri», in prativa, sono quasi triplicati. Un trend confermato nei primi tre mesi del 2018, durante i quali sono tornati in città 97 «dublinanti»: praticamente uno al giorno.
Atterrano al Marconi, imbarcati su un aereo soprattutto da Paesi Bassi, Francia e Austria. Ma anche dalla Svezia. In aeroporto ad accoglierli c’è il personale della Prefettura che, assieme agli operatori delle cooperative che gestiscono l’hub, li prende in carico. Si stabilisce quale dovrà essere il loro nuovo percorso: come se fossero arrivati per la prima volta. Si riparte da via Mattei e si attende che la richiesta venga accolta. In realtà gli arrivi dei «dublinanti» previsti sarebbero molti di più, ma alcuni ci riprovano: fuggono ancora prima di arrivare in Italia.
Il limbo dei «dublinanti» in via Mattei raccoglie storie di uomini e donne, ma anche di interi nuclei familiari che anni fa, all’inizio dell’emergenza sbarchi, sono arrivati dopo lunghe traversate via mare in Sicilia, in Calabria o in Puglia. Oppure hanno percorso la rotta dei Balcani. Qui sono stati identificati dalle forze dell’ordine, prima le impronte digitali e il foto segnalamento. Ma loro, i «dubliners», chiamati così al di là della frontiera, sono ignari del sistema Eurodac, la banca dati europea che raccoglie tutte le impronte digitali. E dopo i controlli vengono programmati i «rientri» con il Viminale.
Alcuni «dublinanti» prima di essere rispediti qui non erano mai passati da Bologna. Ma c’è chi invece ci è passato, durante i primi mesi dell’emergenza, quando ancora non era stato aperto l’hub. C’è chi ha tentato la fortuna in Francia, magari prendendo un autobus di notte in autostazione e dopo quattro anni si ritrova al punto di partenza. Molti uomini, lì, si sono reinventati come buttafuori. Ma ci sono anche interi nuclei familiari, non solo africani, tra cui tre famiglie armene «rispedite» dalla Germania.