Donadoni lancia veleni su Pairetto Bigon fa i conti
Al triplice fischio l’esterno abbandona il campo infuriato Il ds: «Un club come il nostro deve cedere a certe richieste»
Un’altra partita di spessore, un’altra sconfitta. Esce dal prato deluso e arrabbiato Simone Verdi, il vero top player di una squadra che senza di lui avrebbe rischiato seriamente di lottare per non retrocedere. Diamanti quattro anni fa a gennaio se ne andò, lui no. Quella di ieri però rischia di essere la sua ultima al Dall’Ara in rossoblù: un rigore trasformato con sicurezza, uno negato, altre giocate di prim’ordine, l’unico fra i suoi ad accendere il match, un altro tiro dalla distanza smanacciato da Sorrentino sul palo. 10 gol. «Doppia cifra… doppia», preciserà il ds Bigon, voce della società contrapposta ai fischi dello stadio e alla delusione dei tifosi, i famosi stakeholder, «dobbiamo contare anche 10 assist: numeri da grandi giocatore, qual è. Performance che mi ricordano Hamsik», spiega il ds.
Al ’95 però, quando Pairetto decreta la fine, Verdi non pensa ai suoi numeri, ma all’ennesima sconfitta e alla pochezza della sua squadra e fila via scuro in volto negli spogliatoi mentre Donadoni da lontano gli chiede di restare per il saluto alla curva. Delusissimo Simone s’infila nel tunnel. Ricomparirà solo mentre i suoi vengono fischiati, riportato in campo da Da Costa. E non parlerà ai microfoni. Ragazzo triste, cantava Patty Pravo. Era così ieri, tradito dal sogno impossibile (non l’unico eh) di vedere un futuro «competitivo» qua. Macché, nonostante le minime richieste del pubblico, Bologna non ce la fa: perde a raffica, si dispiace un po’ e il giorno dopo va tutto bene e si riparte come se nulla fosse (e ringraziare che siamo salvi).
Da tre anni è così e a sentire il Bigon la storia rischia di ripetersi. Il ds commenta come può la partita, «potevamo farne 3 nel primo tempo, gran gol di Giaccherini, poco da rimproverare alla squadra», quindi la «soddisfazione», per aver scelto Verdi e per la salvezza conquistata a febbraio «anche se poi ci siamo colpevolmente seduti e perso le occasioni per fare il salto». Bigon rifarebbe tutte le scelte di mercato, «non ci sarà alcuna rivoluzione: la continuità e i miglioramenti sono il mio modo di fare calcio». Rivoluzionario sarebbe cambiare il tecnico. «Guardo i due anni li lavoro positivi insieme, Donadoni è nel mirino e mi dispiace perché ha fatto tre buone stagioni, ma è un parafulmine come me». Fra una settimana però il club dovrà decidere come affrontare la prossima stagione e come risolvere le annose e incancrenite problematiche. «La situazione ambientale però non può influire nelle mie scelte, io devo essere lucido, non potrei mai lavorare di pancia. Comunque ci riuniremo e faremo il punto. Ascolteremo Saputo, fondamentale». Il futuro di Verdi lo decide il chairman. «No, le questioni tecniche le decido io e quelle economiche lui e Fenucci, è un lavoro di equipe». E se il presidente fosse disposto a tenere Verdi, lei cosa gli direbbe? «Dal punto di vista tecnico è chiaro che non posso non sperare che lui rimanga, ma le uscite da un club del nostro livello sono normali (cita l’Atalanta ndr): nessun club di questa fascia, fatturati e potenzialità, se ha giocatori forti richiesti da grandi squadre dove i calciatori vogliono andare, si rifiuta di cedere. E quindi non lo dobbiamo (dobbiamo) fare nemmeno noi perché dobbiamo sapere chi siamo e dove possiamo andare».