I furbetti con il camice bianco
Ventidue denunce in tutta la Regione a carico di finti medici, dentisti e fisioterapisti
Beccati i furbetti con il camice bianco. Prescrivevano diete dimagranti, curavano i denti, facevano fisioterapia a persone con problemi motori, assistevano anziani, ma non avevano i titoli per farlo. Passate al setaccio 60 strutture. Il Nas di Bologna ha denunciato 22 persone in Emilia-Romagna per l’esercizio abusivo della professione sanitaria e ha chiuso due strutture sanitarie, del valore di un milione di euro ma prive dei requisiti di legge.
Dopo quasi tre anni, 162 udienze, 1.300 testimonianze, arriva alle battute finali il processo di primo grado Aemilia, che per i numeri è stato il più grande colpo alla ‘ndrangheta nel Nord Italia, con la tesi d’accusa portata avanti dai pm della Dda che lungo la via Emilia operava un’organizzazione autonoma dalla casa madre, con radici a Cutro, governata dal boss Nicolino Grande Aracri.
Con Aemilia si conclude anche un processo che ha visto alla sbarra una grossa fetta della classe imprenditoriale emiliana, contro la quale il pm Mescolini, nella sua requisitoria iniziata ieri a Reggio Emilia davanti alla Corte d’Assise presieduta dal magistrato Francesco Maria Caruso, ha pronunciato parole durissime: «Non troverete in nessuno degli atti che uno degli imputati accusati di far parte della ‘ndrangheta abbia fatto il primo passo verso gli imprenditori. Non è mai stato così e lo dimostreremo carte alla mano anche per tutti quei delitti di cui gli imprenditori sono poi diventati vittime». Secondo il pm della dda di Bologna, che porta avanti l’accusa insieme alla collega Beatrice Ronchi, i titolari delle aziende si rivolgevano all’organizzazione di stampo mafioso «perché la frode fiscale o la falsa fattura fatta dalla ’ndrangheta è più sicura di quella fatta da altri». «Se in Emilia la ‘ndrangheta è riuscita a fare quello che voleva è stato grazie a chi ne ha sfruttato la convenienza». Per il pm c’è stata una «iniziale luna di miele tra clan e imprenditori», che poi sono rimasti schiacciati.
La requisitoria dell’accusa durerà per tre udienze, poi la parola passerà a parti civili e difese ed entro l’estate è attesa la sentenza. Nel dibattimento ci sono 147 imputati, altri 58 sono stati condannati in abbreviato e 17 hanno patteggiato. Il clima in aula non è mai stato disteso e non lo è neanche ora che si avvicina la sentenza. Nel corso dell’udienza dell’8 maggio il pentito Antonio Valerio ha dichiarato, in videoconferenza dalla località protetta in cui si trova, di essersi sentito minacciato da alcuni atteggiamenti tenuti da altri imputati. Un altro collaboratore di giustizia, Paolo Signifredi, non ha potuto deporre dopo aver subito un pestaggio sotto casa, anche lui in un luogo protetto. Sull’episodio sono in corso le indagini dell’Antimafia. Per il pm Mescolini i pentiti di questo processo, oltre a Valerio, Salvatore Muto e Giuseppe Giglio, «hanno fornito dei riscontri formidabili, già sufficienti per ottenere una condanna», per gli imputati che, sempre il pm, ha definito ieri come soggetti il cui «interesse principale è commettere delitti, campare del denaro prodotto da quei delitti e utilizzarlo per commettere altri delitti».