Crispin in Salaborsa spiega perché non è femminista
L’autrice: «La parola la usano le popstar per vendere dischi, gli uomini per fare sesso»
Ripensare a cosa significhi il femminismo, prendendo le distanze da quello ormai mainstream che scorre attraverso social e media. Il nuovo libro dell’americana Jessa Crispin, nata in Kansas in una famiglia molto conservatrice, ha suscitato accese discussioni. Perché non sono femminista. Un manifesto femminista, edito in Italia da Sur, è un pamphlet che, recuperando teorie del femminismo del 900, guarda a un progetto ben più radicale di riforma della società. La quarantenne autrice, che ha fondato il blog di libri Bookslut e la rivista letteraria Spolia, sarà oggi nell’Auditorium Enzo Biagi di Salaborsa alle 18, a colloquio con Giulia Sudano dell’Associazione Orlando, per parlare del suo terzo libro, che fa seguito ai precedenti The Dead Ladies Project e The Creative Tarot. In poco più di un centinaio di pagine, la Crispin spiega perché non si sente parte di un certo femminismo, «che si autodefinisce universale, ma che è ancora pensato per le donne bianche e istruite». Un movimento che per la Crispin sembra voler evitare ogni forma di contrasto e scomodità. «Le femministe universali — secondo lei — vogliono un femminismo che non richieda di cambiare il modo in cui vestiamo, pensiamo o ci comportiamo. Io penso che la parola femminismo sia diventata talmente priva di significato per via di tutte le persone che la usano contro di noi. E mi riferisco alle popstar che la usano per vendere dischi, agli uomini che la usano per fare sesso, alle donne politiche che la usano per farsi eleggere, alle dirigenti d’azienda che la usano per giustificare la loro carriera, e così via. Per questo è necessario ripensare daccapo cosa significa il femminismo, non per ciascuna di noi individualmente, ma per tutte le donne». Nel saggio l’autrice critica anche quel potere patriarcale che una nuova ondata di femminismo non sembra voler combattere, «desiderando piuttosto subentrare agli uomini nelle cariche di potere con il rischio che ci si scambi di posto, adottando lo stesso comportamento dell’oppressore». La soluzione proposta dalla Crispin, se si vuole creare un mondo migliore, va ricercata in basi che devono essere diverse. Non le stesse su cui è stato eretto il patriarcato, perché «il femminismo non deve limitarsi a reagire alla cultura dominante, ma ha il potere di trasformarla». A tale scopo la Crispin invita a iniziare le sfide dal proprio quartiere, dalla realtà in cui ognuno vive, non dimenticando che «l’uguaglianza arriva nel momento in cui si trattano gli altri con rispetto».