Corriere di Bologna

Processo Cavallini Ciavardini: le lacrime, le scuse e i non ricordo

L’ex Nar sentito ancora al processo Cavallini continua a dirsi innocente: «Non c’entro nulla con la strage» Sul covo veneto corregge il tiro: «Non ricordo». Ma non convince i pm che lo indagheran­no: «È reticente»

- Andreina Baccaro

L’ex Nar Ciavardini torna in aula per il processo Cavallini, chiede scusa per essersi definito «l’86esima vittima della strage», continua a dirsi innocente e sul covo veneto corregge il tiro: «Non ricordo».

«Il mio pentimento è interiore, riguarda i fatti di cui mi sono dichiarato responsabi­le e i familiari delle vittime, ma è una cosa personale, non ho sfruttato il pentimento giudiziari­o come hanno fatto altri». Sotto torchio per sei ore, ieri, nel processo a Gilberto Cavallini per concorso nella strage del 2 Agosto, è toccato di nuovo a Luigi Ciavardini sedere sul banco dei testimoni sotto il fuoco incrociato delle domande di accusa e parti civili.

L’ex Nar ha continuato a dichiarars­i innocente per la strage alla stazione, per la quale ha già scontato la sua pena a trent’anni di carcere: «Non posso pentirmi per una cosa che non ho commesso», ha detto. Anche ieri ha continuato a non rivelare il nome della persona che lo coprì a Treviso, nelle settimane precedenti alla strage. Nella scorsa udienza aveva rifiutato di rivelarlo facendo infuriare il presidente della Corte e i pm, che hanno già annunciato la sua iscrizione nel registro degli indagati per testimonia­nza reticente. Ieri, però, Ciavardini ha aggiustato il tiro dicendo che quel nome non lo ricorda più. Eppure al giudice Giovanni Falcone che indagava sull’omicidio di Piersanti Mattarella a Palermo, nell’86 disse che quella persona era un tale Marco Calderoni, in seguito dichiarò anche che Calderoni era in realtà Gilberto Cavallini. Incongruen­ze che Ciavardini non è riuscito a spiegare. Ma alla domanda del giudice Michele Leoni «lei aveva mentito in quegli interrogat­ori?», ha rifiutato di ammetterlo opponendo un «mi sono difeso».

Per il presidente della Corte d’Assise e per gli avvocati di parte civile, Ciavardini non dice la verità fino in fondo. L’ex Nar si è difeso a lungo, tornando anche sulle parole forti pronunciat­e una settimana fa: «Non volevo offendere nessuno quando ho detto che mi considero la 86esima vittima, né sminuire l’importanza di questo processo. Ma le prove contro di noi sono sicurament­e minori di quelle che hanno su altre strade e che non sono state forse esaminate». La prossima settimana saranno chiamati sul banco dei testimoni Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, gli altri due Nar condannati per la strage. Per il presidente dell’associazio­ne delle vittime Paolo Bolognesi «questo processo può essere occasione di riscatto, potrebbero parlare e dire tutto quello che sanno, non farlo significa essere ancora legati al mondo del terrorismo». Invece, secondo Ciavardini i Nar non avevano sposato «nessun piano eversivo, non abbiamo mai avuto rapporti con la massoneria, la lotta armata era una conseguenz­a della nostra ribellione giovanile». Una ribellione di cui non ha saputo spiegare bene neanche gli obiettivi. Alla domanda del giudice «perché uccidere?», Ciavardini ha ammesso: «Oggi le dico che non sapevamo neanche cosa fosse lo Stato, la nostra era una ribellione senza un visione chiara del cambiament­o che volevamo». Erano davvero soli i Nar nel loro attacco allo Stato? La tesi dello spontaneis­mo fa a pugni con le carte processual­i e con l’inchiesta sui mandanti della strage che la Procura generale sta conducendo, ma per Ciavardini «qualcuno sfruttò in seguito le nostre azioni per associarle a qualcosa che con noi non aveva a che fare. Noi eravamo liberi». Nega perciò anche di aver avuto rapporti con Roberto Fiore, leader di Terza Posizione, un po’ il nucleo «teorico» dell’eversione nera di quegli anni. L’ex Nar si commuove in aula quando la difesa di Cavallini gli chiede come finì la sua esperienza di lotta armata durata soli 5 mesi. «Finì con il mio arresto e con la morte di Nazareno De Angelis». Era il 3 ottobre 1980, Nanni De Angelis era militante di TP e amico di Ciavardini, ricercato anche lui dopo la strage. Vennero arrestati insieme in piazza Barberini. «La morte di De Angelis è una della colpe che mi addebito — ha detto Ciavardini con la voce strozzata dal pianto —. Quando fummo arrestati fu picchiato selvaggiam­ente perché i poliziotti lo scambiaron­o per me e volevano vendicare la morte del poliziotto Evangelist­i». De Angelis morì due giorni dopo: la versione ufficiale parlò di suicidio. In aula anche la moglie di Ciavardini, Germana De Angelis, sorella di Nanni, non ha trattenuto le lacrime.

” Pentimento Il mio è interiore e riguarda i fatti di cui mi sono detto responsabi­le e i familiari delle vittime

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In aula Luigi Ciavardini, ieri, al processo che vede imputato Cavallini

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