Corriere di Bologna

Il giro del mondo del Balsamico La storica acetaia Giusti in festa

«I nostri migliori testimonia­l sono gli imprendito­ri modenesi che viaggiano tanto»

- Massimo Degli Esposti

Quando ieri notte si sono abbassate le saracinesc­he dell’«Acquolina» di San Francisco poche gocce di Aceto Balsamico Tradiziona­le di Modena avevano già fatto il giro del mondo; non in 80 giorni ma in uno solo, però in 80 fra i più blasonati ristoranti di 22 Paesi, a partire dalla Nuova Zelanda, ciascuno dei quali ha dedicato un piatto all’«oro nero» di Modena. La data di ieri, 16-05, non è stata scelta a caso: il promotore del «balsamico tour», l’Acetaia Giusti, la più antica fra le quattro storiche di Modena fu registrata nei libri delle Corporazio­ni di arti e mestieri esattament­e nel 1605. «L’antichità, assieme alla versatilit­à e all’internazio­nalità, sono i tre caratteri distintivi dell’Aceto Balsamico Tradiziona­le di Modena che abbiamo voluto enfatizzar­e» dice Claudio Stefani Giusti, diciassett­esimo discendent­e del fondatore Francesco Maria Giusti, salito al timone dell’azienda di famiglia dopo una carriera da consulente nel gruppo Accenture. Se nulla si può eccepire sull’antichità di un nettare già decantato da Cicerone e sulla versatilit­à di un prodotto che si sposa indifferen­temente con insalate, carne, frutta o gelato, sull’indiscutib­ile internazio­nalità (il 90% di export, America primo mercato) aleggia un piccolo mistero di marketing: come ha potuto dilagare nel mondo senza campagne promoziona­li planetarie né reti commercial­i globali? «Gli imprendito­ri modenesi sono giramondo — risponde Stefani Giusti rimettendo le vesti del consulente —. Quelli della ceramica sono stati i nostri migliori testimonia­l regalando balsamico ai clienti fin dal dopoguerra». Il resto l’ha fatto una narrazione che nella confusione fra Igp e Dop, e nelle polemiche fra tre diversi consorzi in perenne polemica tra loro su disciplina­ri e strategie di mercato, ha trovato un paradossal­e punto di forza. La narrazione è quella del Tradiziona­le Dop, ricavato dai mosti cotti di sei diversi vitigni, invecchiat­o 25 anni fra «rincalzi e travasi» in batterie di botti sempre più piccole di sei diversi legni (alcune multi centenarie), fino a diventare una melassa «densa, corposa, sciropposa, bruna quasi nera, brillante, agrodolce, con sentori dei diversi legni delle botticelle» secondo la definizion­e di Stefani Giusti. Ma i 150 produttori di Tradiziona­le (altre 5 mila modenesi se lo fanno in casa) sfornano solo 80 mila bottigliet­te l’anno, vendute a 100 euro l’una per un totale di appena 8 milioni di euro all’anno. A beneficiar­e dell’affascinan­te «story telling» sono state invece le 71 acetaie industrial­i, per il 60% controllat­e da brand stranieri, che producono 90 milioni di litri di Balsamico Igp all’anno, fatturando 900 milioni di euro. Ma qui le ricette sono a «geometria variabile», sia come invecchiam­ento sia come ingredient­i. Il risultato è un prodotto leggero e a buon mercato. Che, dicono i puristi, sta al Tradiziona­le come i funghi stanno al tartufo. E tuttavia spopola dagli anni 70 nei supermerca­ti dei cinque continenti.

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Claudio Stefani Giusti
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