«Quel milione e mezzo che vive e sopravvive grazie alla Salaborsa»
Anziani che osservano a braccia conserte il via vai frenetico dei tempi moderni, ragazzi di colore alla ricerca di una presa per ricaricare il telefonino e signore dall’accento est-europeo che chiacchierano tra di loro. E poi ancora persone a caccia di wi-fi libero, universitari sui libri, turisti con tanto di guida e anime perse che non sanno proprio come trascorrere le proprie giornate.
Appena varcato l’ingresso della Salaborsa è facile imbattersi in istantanee come questa, praticamente ogni giorno. La biblioteca all’inaugurata nel 2001 dall’amministrazione Guazzaloca, infatti, non è soltanto un luogo dedicato alla cultura, ma è un vero e proprio micro mondo abitato da persone di ogni età, con lingue diverse e, molto spesso, con un’esistenza tutt’altro che semplice. «Non è un caso che la Salaborsa si trovi a Bologna: rappresenta lo spirito di questo territorio». Silvia Masi, direttrice della biblioteca dal 2015, ma all’ombra del Nettuno da oltre 17 anni, non usa troppi giri di parole: «Qui
” La direttrice È un posto necessario per le stesse persone che lo frequentano, quindi tutti vogliono poterci tornare
non discriminiamo le intenzioni di nessuno, può entrare chiunque e tutti hanno la stessa dignità, da chi ha bisogno di studiare a chi vuole semplicemente fare un giro, prendere un caffè oppure riposare un po’».
Nel 2017 la Salaborsa ha registrato qualcosa come 1.318.831 ingressi, circa 494 all’ora e più di otto al minuto. «L’afflusso di pubblico è continuo — spiega Masi — e l’anno scorso, tra libri, dvd e cd, gli utenti attivi al prestito sono stati 50.682. Si tratta però soltanto di una parte di chi frequenta la biblioteca, gli altri sono utenti che vengono qui per leggere i giornali, partecipare alle nostre iniziative oppure utilizzare le postazioni internet». E poi ci sono i forzati di un far niente che di dolce, a dispetto dei detti popolari, qui ha ben poco».
Lo possono confermare anche i diretti interessati, come Daniele, 63enne originario di Molfetta, in Puglia. «Ho cominciato a lavorare quando avevo 15 anni, prima come marittimo e poi in pizzeria». Dopo una vita trascorsa successivamente nelle cucine dei ristoranti in Riviera, adesso Daniele è finito per strada in attesa della pensione. «Ancora quattro anni — dice —, ma per fortuna ci sono posti come questo: non saprei dove altro andare durante il giorno. E proprio perché so che dovrò tornarci non voglio creare problemi, né lasciare tutto sporco quando vado via».
Lo sa bene anche Hassan, 25 anni, arrivato dal Gambia giusto qualche mese fa. «Vengo qui per ricaricare il telefonino, senza dare fastidio a nessuno: finché non avrò trovato un lavoro devo arrangiarmi come posso». «Uno dei nostri obiettivi è ridurre le differenze — riprende la direttrice —. Soprattutto in seguito alla crisi economica di qualche anno fa, che abbiamo toccato con mano e che ci ha coinvolto sempre di più in quello che viene definito ruolo sociale delle biblioteche. È stato faticoso intraprendere un percorso del genere, garantendo a tutti una serena convivenza — prosegue Masima — ci stiamo riuscendo puntando su prevenzione, decoro e pulizia. In questo modo chiunque entra nella Salaborsa adatta i suoi comportamenti al posto in cui si trova. I problemi possono sorgere quando non c’è più spazio per tutti, però si tratta sempre di situazioni che si risolvono nel giro di pochissimi minuti — continua la direttrice — e il merito anche del servizio di sorveglianza, composto da gente bravissima e che sa come comportarsi. Se c’è ad esempio qualcuno che si appisola lo lasciano dormire,
” I clienti Daniele, 63 anni: non saprei dove andare Hassan, 25 anni: vengo a ricaricare il telefono
l’importante è che non si tolga le scarpe o faccia qualcosa che può dar fastidio».
Chi esagera, comunque, viene subito allontanato, anche se a quanto pare si tratta di episodi isolati. «Evidentemente questo è un posto necessario per le stesse persone che lo frequentano, quindi tutti vogliono tutelarsi la possibilità di poterci tornare. Per qualcuno è una vera e propria casa — conclude Silvia Masi — ed io credo sia una cosa molto bella, l’importante è che ci sia sempre il rispetto del posto e degli altri».