Il Sessantotto della comunità di Sant’Egidio
Zuppi, Prodi, Zamagni e Dionigi alla presentazione del libro di Riccardi giovedì in Cappella Farnese
Il 1968 fu un anno che sconvolse il mondo, con le rivolte contro l’ordine tradizionale delle cose. Ma fu anche quello in cui Andrea Riccardi, appena diciottenne, fondò a Roma la Comunità di Sant’Egidio, un’esperienza comunitaria votata alla preghiera e all’azione nel mondo, alla testimonianza strenua per la pace e alla lotta contro le povertà. Non solo alla storia personale e a quella della Comunità è dedicato Tutto puòc ambiare, il libro conversazione diRic cardi, storico del cristianesimo e dell’età contemporanea, con il teologo don Massimo Naro. È uno sguardo sul mondo nell’età della globalizzazione, analizzato attraverso la lente del Vangelo e dell’impegno cristiano.
Il volume, edito dalle edizioni San Paolo, sarà presentato giovedì 24 maggio alle 18 nella Cappella Farnese di Palazzo D’Accursio da un vero e proprio parterre de roi, l’ex rettore Ivano Dionigi, il presidente Romano Prodi, l’economista Stefano Zamagni e monsignor Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna. Sarà presente l’autore; introdurrà il direttore del Corriere di Bologna, Enrico Franco.
Ci spiega Stefano Zamagni, docente universitario di lungo corso, specialista del «terzo settore» e dell’economia sussidiaria: «È un’opera originale, perché alterna il racconto dei fatti con riflessioni di natura filosofica e teologica. E questa non è struttura comune in un libro. Non è semplicemente una storia della Comunità di Sant’Egidio o una biografia del suo fondatore». Il nucleo dell’approfondito dialogo tra Riccardi e don Naro, secondo il professore, sta nel modo di reagire a quella che si chiama «seconda secolarizzazione». Ci conduce per mano nel problema: «La prima secolarizzazione è quella della quale parla Max Weber, ossia l’autonomia di diverse sfere dell’attività umana, come l’economia e la politica, dalla religione, ossia l’affermazione moderna della laicità. La seconda secolarizzazione è più recente: consiste nell’autonomia degli stili di vita dalle tradizioni religiose e dalle norme sociali di comportamento. È una deistituzionalizzazione della religione». Ossia è quel fenomeno dell’età postmoderna del farsi la propria religione, delle religioni fai-da-te. «È dire: io credo, ma a modo mio. Una volta l’alternativa era tra cre- denti e non credenti. Ora lo stile religioso diventa individuale; non si mette in discussione la fede ma il modo di vivere la religione».
È uno dei portati del ‘68, un periodo di rivolgimenti profondi, di rotture, che porta la società dalla modernità alla postmodernità fluida. «Sant’Egidio nasce in quell’anno; a Milano nel 1969 è fondata Comunione e Liberazione. Non è un caso. Tra l’altro siamo nel periodo immediatamente posteriore alla chiusura del Concilio Vaticano II». Sant’Egidio, attraverso l’impegno comunitario, voleva rappresentare proprio un’alternativa a una fede soggettivistica: «Non dicono “credo a modo mio”, ma “preghiamo e agiamo insieme”. Il valore aggiunto di quell’esperienza consiste nell’unire soggettività e appartenenza a una comunità».
Ma c’è un terzo motivo di interesse nel libro, contenuto già nel titolo: «Essere cristiani significa pensare che ciò che ci aspetta non è mai determinato del tutto da ciò che ci precede. “Tutto può cambiare” vuole dire rifiutare il determinismo, ma anche le fughe in avanti. Significa pensare che c’è un margine perché la volontà libera possa mutare le cose».
Da questi presupposti, analizzati in profondità nel volume, derivano l’impegno della Comunità romana per la pace e la sua attenzione ai poveri: «Non solo alla povertà materiale, ma anche a quella di senso, che vediamo sempre di più oggi far perdere la direzione della vita, come nel caso del padre che ha ammazzato la moglie, buttato la figlia da un cavalcavia e si è suicidato, un uomo che non aveva problemi economici. La vita di comunità, in comunità, può essere una risposta alle rotture laceranti della globalizzazione e della seconda secolarizzazione».