La sartoria delle ragazze Down
L’idea, gli incontri, la collezione. «Fanno tutto le ragazze, con talento»
Una sartoria di alta qualità, dove le sarte, le designer, le modelle, le social media manager sono ragazze con sindrome di Down e con disabilità genetiche. Il principio da cui parte tutto, e da cui è partita l’anima-mente-cuore del progetto «Sartorie Leggere», Barbara Montanari, è molto chiaro, oltre che semplice, se non fosse che la strada per arrivarci è piena di ostacoli: «Le persone con disabilità non devono essere oggetto di puro assistenzialismo, perché le persone con disabilità hanno dei talenti e questi talenti possono creare profitto».
Barbara Montanari, 47 anni, imprenditrice metà di Carpi metà di Crevalcore, con una fetta di vita lunga 15 anni passata in India nella città-utopia di Auroville, madre di due figlie, di cui, la più piccola di 8 anni con sindrome di Down, due anni fa viene lasciata a casa dall’azienda per cui lavorava nel Bolognese. Si occupava di mercato estero, lei che aveva commercializzato in Italia e a Bologna prodotti realizzati (in maniera rigorosamente equo-solidale) in India proprio da donne disabili e da persone in gravi difficoltà. «Ero una mamma 104, come chiamano noi che, per assistere i figli disabili, usufruiscono troppo della legge 104». Lasciatasi alle spalle l’India (e il padre delle sue figlie) dopo la nascita della bimba più piccola con sindrome di Down, e una volta licenziata dall’azienda per cui faceva la manager, Barbara inizia a pensare come essere qualcosa di diverso da una mamma single con una figlia disabile. E mentre lo pensa, incontra altre mamme nella stessa situazione attraverso l’associazione «Passo passo» che si dedica all’inclusione delle persone con disabilità. «Perché non creiamo qualcosa di nostro, ma facendolo creare alle nostre figlie?», chiede e si chiede.
Così con sua madre, «nonna Attilia» per tutte, 74 anni e un passato da product manager nell’alta, anzi altissima, moda, inizia a fare quello che entrambe sanno fare meglio: creare. Vestiti in questo caso. Barbara, nonna Attilia, e altre quattro mamme comprano una macchina da cucire, acquistano stoffe vintage di alta sartoria e iniziano a fare vestiti. I primi quaranta, esposti nel nuovo spazio «Lele, il portiere di quartiere», piccola azienda con sede al Saragozza che vende servizi di vicinato, sono andati letteralmente a ruba il giorno dell’inaugurazione. A indossarli una modella con sindrome di Down, figlia di un padre attivo nell’associazione che riunisce i genitori di ragazzi con trisomia 21. Altri abiti arriveranno presto e, tenendo d’occhio la pagina Facebook di «Sartorie Leggere», si potrà vedere dove saranno venduti. Intanto «Lele» sarà il punto di riferimento delle mamme-imprenditrici, riunite in +MA, associazione fondata da Barbara.
«Nonna Attilia formerà le sarte — spiega Barbara — e poi, a seconda delle inclinazioni personali, alcune disegneranno i vestiti, altre faranno le blogger. L’idea è che loro stesse realizzino abiti adatti alla loro fisicità. Vogliamo una linea nostra». Una catena bolognese ha già commissionato i vestiti a «Sartorie Leggere». Il sogno dei sogni? «Un locale dove si mangia e si vendono i prodotti realizzati dai ragazzi disabili. Entri, mangi, esci con un vaso, un vestito, un quadro. Stiamo cercando un locale». La sartoria è solo l’inizio. La strada sarà anche in salita, ma le gambe di queste donne sono belle forti.