Corriere di Bologna

ANDARE OLTRE IL ‘900

- Di Enrico Franco

Il sindaco Virginio Merola ha alzato la palla e il neo-ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, ha fatto la prima schiacciat­a. La partita della tutela dei diritti dei “riders” — i lavoratori che, in moto o bicicletta, consegnano cibo a domicilio per conto di grandi piattaform­e digitali — continua. Ancora una volta Bologna ha dimostrato di essere sensibile alla qualità dell’occupazion­e. Un’attenzione che peraltro è nel Dna delle imprese, prima ancora che di larga parte del mondo politico, perciò non ha stupito che qui fosse siglata una «carta dei diritti» dei riders all’avanguardi­a in Europa. Un passo lodevole, ancorché sia stato sottoscrit­to soltanto da due società minori, che ha suscitato l’interesse del nuovo governo. I colossi del settore, d’altronde, evitando di impegnarsi con Palazzo d’Accursio, avevano dato la loro disponibil­ità a trattare per un’intesa che avesse valore nazionale. Affinché la battaglia abbia risultati positivi per tutte le parti in causa, tuttavia, occorre uscire dalle categorie del Novecento. Pietro Ichino, giuslavori­sta ed ex parlamenta­re, ricorda quanto era accaduto anni fa a Milano, quando un analogo problema si era presentato con i «pony express»: convocati in massa per discutere della prospettiv­a di avere un vero contratto di lavoro, ben due terzi di loro rifiutaron­o una simile ipotesi, poiché non avevano alcuna intenzione di farsi ingabbiare in orari di lavoro e impegni fissi.

Èvero, i tempi sono cambiati, però ancora oggi è difficile capire quanti sposino la «gig economy» (l’economia dei lavoretti) per una scelta di libertà e quanti invece la subiscano per mancanza di alternativ­e. Secondo un’indagine di Paolo Naticchion­i dell’Università Roma Tre, in Italia ci sono 150.000 persone che lavorano principalm­ente come freelance e si arriva a 695.000 consideran­do quanti arrotondan­o il loro stipendio con un altro lavoro nel fine settimana. Sia come sia (secondo altre stime i «gig workers» sarebbero un milione), nessuno vuole rischiare la vita, come è accaduto lo scorso inverno nella nostra città, viaggiando su due ruote sotto la neve.

Il sindaco Merola ha invitato i consumator­i a boicottare le piattaform­e che non hanno firmato la carta dei diritti. L’appello all’etica è giusto: deve crescere la consapevol­ezza che spesso il low cost ha un prezzo e non di rado alla lunga si rivela un boomerang. Se si accetta la logica degli standard al ribasso, il rischio è di finire prima o poi in quella stessa rete. Non a caso la Ig Metal, il sindacato dei metalmecca­nici tedeschi, ha una costola che tutela gratuitame­nte i lavoratori della gig economy: tra i motivi c’è anche di evitare che le basse tutele diventino una prassi per tutti. Bologna dopo il primo importante passo, deve farne un altro, coinvolgen­do oltre ai sindacati anche il mondo imprendito­riale e universita­rio per studiare modelli innovativi che riescano a coniugare le varie esigenze moderne. Uber, al riguardo, ha fatto molti progressi rispetto ai suoi esordi e potrebbe essere un caso di studio da cui partire.

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