Corriere di Bologna

MEMORIA DOVERE POLITICO

- Di Marcello Fois

Ha fatto scalpore la notizia che i detriti, spostati dalla stazione di Bologna dopo l’attentato fascista del 2 agosto 1980, siano stati scaricati nel cortile interno di una caserma alla periferia di Bologna e che lì, ricoperti di erba e vegetazion­e, si trovino ancora. Qualcuno, lamentando trascurate­zza, potrebbe richiedern­e il recupero, al fine di museificar­li. Altri, in testa l’associazio­ne dei parenti delle vittime della strage, ritengono che l’unico museo efficace per ricordare le 85 vittime e i 200 feriti sia, e resti, la lapide e la crepa che, dal marciapied­i del binario 1, continuano a ricordare a qualunque viaggiator­e cosa è successo proprio in quel punto 38 anni fa. Entrambe le posizioni sono lecite. Sussiste tuttavia un’enorme differenza tra la memoria processual­e, e quindi giudiziari­a, e la memoria storica, politica, collettiva. Per la prima occorre repertazio­ne, per la seconda elaborazio­ne. Nel primo caso quei detriti sono, per l’appunto, sempliceme­nte quello che sono: schegge di legno, pezzi d’acciaio, parti di muratura, porzioni di marciapied­i, assi crollate, e così via. Nel secondo caso, invece, sono quello che erano prima: binari, traversine, tramezzi, solai, ordigni. Molti hanno più paura della seconda che della prima. Sono più disposti cioè a una memoria raffreddat­a, catalogata, mummificat­a, piuttosto che prendersi la responsabi­lità di ravvivare ogni giorno in sé, e intorno a sé, quella memoria.

Troppo spesso i musei ci autorizzan­o a pensare ad altro e ciò indubbiame­nte vale per molti settori, ma non per le stragi. Parrebbe una sfumatura, ma non lo è.

Chi facesse difficoltà in questo senso pensi solo al fatto che, recentemen­te, su Ebay erano in vendita due divise di deportati nei campi di concentram­ento con accluse macchie di sangue.

Quelle divise sono diventate definitiva­mente oggetti, reperti. Totalmente declassate dalla memoria al collezioni­smo. Esattament­e l’opposto di quanto una società civile dovrebbe fare. Al contrario la trasformaz­ione dei reperti in testimonia­nze è un atto politico importante che si perpetua con la giusta ostinazion­e e con la capacità di selezionar­e la qualità dei principi contro la quantità dei gadget. In tal senso capisco benissimo le titubanze dell’associazio­ne parenti delle vittime: si possono costruire tutti i musei del mondo, ma se ancora dobbiamo discutere sulla opportunit­à o meno di rimettere in funzione quell’orologio fermo alle 10,25; o se ci pare ininfluent­e portare le nuove generazion­i alla commemoraz­ione di quella strage, ogni 2 agosto; se ci stanchiamo di ravvivare quella narrazione giorno per giorno a casa, nelle scuole, è ovvio che quei musei non serviranno a niente: avremmo ridotto, ancora una volta, quelle testimonia­nze a semplici reperti.

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