Le pietre della strage, l’ira dei famigliari
Bolognesi: salvarle dall’incuria. Processo Cavallini, Mambro: ci offrirono via d’uscita
«Che tristezza sapere che le macerie della stazione sono rimaste abbandonate all’incuria», osserva Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione familiari delle vittime del 2 Agosto. «Sarebbe opportuno recuperarle, catalogarle, sia perché possono tornare utili sia per poterle esporre, per affidarle al ricordo collettivo», dice. Un aiuto alla ricerca di tracce di esplosivo potrebbe arrivare da un manifesto turistico rimasto intatto nonostante lo scoppio.
Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione vittime del 2 Agosto, 38 anni dopo la strage, se non ci fosse stato il processo a Gilberto Cavallini, forse non si sarebbe mai scoperto che le macerie della stazione sono rimaste abbandonate alle intemperie in un’area scoperta della caserma San Felice. Sarebbe opportuno pensare ad un museo del 2 Agosto?
«Per noi familiari il posto del ricordo è sempre stato la sala d’attesa e quello deve rimanere. È un posto di transito, ci passano forse più di un milione di persone l’anno. Passare e interrogarsi su cosa vuol dire quello squarcio, quella lapide, per noi vale molto di più di un museo. Deve restare com’è anche quando faranno la Grande stazione. Perché c’è una differenza fondamentale con la strage di Ustica: in quel caso i parenti non avevano un posto dove piangere i loro morti, dove poter dire “qui è caduto l’aereo”, visto che è caduto nel mare. Nel momento in cui è stato recuperato e collocato a Bologna, il museo è diventato giustamente il punto di ricordo di quell’evento. Con la strage alla stazione è stata un’altra cosa. Già il fatto che sia stata ricostruita dopo un anno, simbolicamente è stata una risposta forte al terrorismo, come dire: “non possiamo ricostruire le vite, ma ricostruiamo la stazione”. Per questo non abbiamo voluto altri monumenti, anche quando ci sono stati proposti. Riteniamo che la sala d’attesa vada bene così, con le lapidi, il pavimento e poi soprattutto per noi è molto importante l’orologio fermo alle 10.25 nel piazzale. Quando l’hanno rimesso in funzione persino i giornali americani scrissero “fermatevi, ma cosa state facendo”».
Tornando alle macerie, l’associazione cosa sapeva dove erano state conservate?
«Io sapevo dal settembre dell’80 che era stato tutto portato nella caserma ai Prati di Caprara ma eravamo convinti che i resti fossero conservati, non buttati in mezzo alle erbacce. Tra l’altro pensavo ci fosse stata una selezione che indicasse questo è un pezzo di muro, questo di pavimento eccetera. Nel caso fossero serviti in futuro. Purtroppo così non è stato e lo scopriamo adesso solo perché il perito ha chiesto di recuperare i pezzi».
Come è stato possibile secondo lei?
«Non saprei. È una cosa quantomeno singolare, ma devo ammettere che essendo stato in Parlamento e in commissione Difesa so per aver visto che ci sono un’infinità di situazioni analoghe, in cui la Difesa ha reperti o documenti conservati e non sa neanche cosa siano o da dove provengano. È triste ma è così».
Anche a voi familiari il perito ha chiesto di contribuire recuperando del materiale…
«Sì, abbiamo mandato una settimana fa una lettera ai superstiti e ai familiari delle vittime chiedendo che chiunque abbia oggetti, vestiti o borse conservate ce li segnali. Noi faremo un elenco e lo sottoporremo al perito. Poi sarà lui a stabilire cosa può essere utile o cosa no».
Altri reperti delle indagini
Anni fa chi custodiva i reperti convocò i parenti delle vittime, ma tante famiglie sono state spazzate via e molto si è perso
dell’epoca invece sembra non si trovino.
«Anni fa si disse che era stata fatta un’asta di alcuni oggetti personali, credo dal Tribunale. A dire il vero chi custodiva i reperti del processo, il Tribunale o la Procura, a un certo punto convocò i familiari chiedendo se qualcuno volesse recuperare qualcosa, ma parliamo di famiglie che erano state spazzate via. Non è detto che un fratello o uno zio potesse sapere che una scarpa o un lembo di vestito era appartenuto al suo parente morto. Poi non so che fine abbiano fatto questi resti, certo se è stata fatta davvero un’asta sarebbe una cosa inopportuna».
A questo punto è opportuno che le macerie vengano recuperate e conservate anche se non c’è un museo? «Certo. Parliamo di un reato che non va mai in prescrizione, quindi i reperti potranno essere utili anche un domani e vanno recuperati. Salvati dall’incuria e perché no offerti alla memoria collettiva. Penso che potrebbero essere esposti in occasione di mostre come Bologna Fotografata, realizzata nel sottopasso Re Enzo, una collocazione simile sarebbe la migliore».