Il giudice e gli alibi «Qui nulla quadra»
La ricostruzione dei movimenti di Cavallini e i dubbi di Leoni: «Racconti poco credibili»
Nell’ultima udienza in cui l’ex Nar Francesca Mambro è chiamata a testimoniare nel processo per la strage a carico del suo ex camerata Gilberto Cavallini, il presidente della Corte d’Assise Michele Leoni tira le fila di una deposizione durata quasi venti ore in tre giorni e afferma che gli alibi forniti sono «non credibili o inesistenti».
A fine udienza il giudice ha smontato, sentenze e verbali alla mano, le versioni di Mambro, Fioravanti, Ciavardini e Cavallini sottolineandone le incongruenze. «Lei ha sempre detto che quel giorno eravate a Padova — ha detto alla teste —, mentre Fioravanti fino all’84 sostenne che eravate a Treviso, per poi cambiare versione e confermare il viaggio a Padova». Poi ha elencato le diverse versioni di Ciavardini e bollato anche gli spostamenti tra Taranto, Roma e Palermo nel giro di due giorni a ridosso del 2 Agosto come «inverosimili». L’ex Nar si è difesa: «Non avevamo bisogno di concordare un alibi perché siamo innocenti», poi è tornata a stupire l’aula quando ha affermato sotto giuramento che «ci fu un momento in cui ci venne offerto di salvarci accusando Giorgio Vale della strage». Vale era un militante morto nel 1982, i cui
” Mambro Ci fu un momento in cui ci venne offerto di uscire da questa vicenda accusando Vale Ci dissero: voi sapete che non c’entrate e sapete che hanno trovato i documenti di Vale sul treno
documenti vennero trovati sul treno Taranto-Milano nel gennaio ‘81, messi lì, si scoprì dopo, dai servizi per incolpare proprio i Nar. «Sta dicendo una cosa grave — l’ha incalzata il giudice —, se è vero deve fare i nomi di chi vi fece questa offerta». Ma la teste si è rifiutata di farne: «Sono cose che si capiscono quando uno arriva e dice: voi sapete che non c’entrate e sapete che hanno trovato i documenti di Vale sul treno». Di quel depistaggio fu accusato tra gli altri proprio Francesco Pazienza, l’ex agente segreto che ieri ha inviato un nuovo telegramma alla Corte, dopo il primo di una settimana fa in cui chiedeva di testimoniare, annunciando l’invio di un plico contenente documenti inediti. La prossima settimana toccherà a Giusva Fioravanti, marito di Francesca Mambro condannato insieme a lei, tornare a Bologna da teste. «Non siamo mai stati estremisti di destra — ha detto infine ieri la Mambro —. Eravamo militanti del Msi ma quando abbiamo visto che al partito non interessava il sangue dei suoi ragazzi ci siamo dati alla lotta armata». «Eravamo ragazzini di 18 anni che mettevano nelle parole significati più grandi di noi».