Tutti assolti per il furto di gioielli Il caso innescò il suicidio Guidetti
Bonora condannato a 3 anni per ricettazione. Nessun colpevole per il maxi colpo
Tutti assolti dall’accusa di furto per non aver commesso il fatto e una sola condanna per ricettazione a tre anni e tre mesi. Finisce così il processo a carico di Ivan Bonora, giostraio sinti 46enne, e dei suoi familiari, un procedimento che riguardava un maxi furto di contanti e gioielli da circa 700.000 euro ai danni di un’anziana signora residente in via Saragozza nel marzo 2015.
Un furto che sollevò grande clamore perché collegato in qualche modo all’omicidiosuicidio della farmacista Vera Guidetti, che uccise l’anziana madre e si tolse la vita dopo essere stata sentita come testimone in quanto in casa sua furono trovati una serie di quadri e oggetti preziosi che lei stessa confessò le erano stati consegnati da Bonora. Mentre indagavano sul furto, infatti, gli agenti della Squadra mobile coordinati dal pm Massimiliano Rossi intercettarono Bonora, giostraio residente al Pilastro, e scoprirono il suo rapporto con la farmacista 62enne, che fu convocata in Questura e sentita come persona informata dei fatti dall’allora procuratore aggiunto Valter Giovannini.
La donna consegnò ai poliziotti una serie di quadri e un sacchetto con due anelli che, disse, le erano stati consegnati proprio da Bonora, che lei aiutava per affetto verso la sua famiglia. La polizia collegò i due anelli al furto di via Saragozza e l’interrogatorio andò avanti ma senza che alla donna fosse garantito il diritto di essere assistita da un avvocato, come poi stabilito dal Csm. Per questo Giovannini è stato sottoposto a provvedimento disciplinare e sanzionato con la censura. La donna, poi, dopo due giorni da quell’interrogatorio iniettò una dose di insulina all’anziana madre, morta una settimana dopo, e si suicidò lasciando un biglietto in cui accusava Giovannini di averla «trattata come una criminale».
L’inchiesta sul furto che aveva originato tutto, è stata portata avanti e, dunque, a processo dal pm Roberto Ceroni, che nel frattempo ha ereditato il fascicolo. Insieme a Bonora, accusato di furto e ricettazione, sono finiti sotto accusa la moglie Linda Piva per furto, il figlio Maverik e il fratello Juri per concorso perché fornirono un alibi all’uomo, che per la Procura, che aveva chiesto pene da due a sei anni, era falso. Ieri invece il giudice Gabriella Castore ha assolto tutti con formula piena, perché il fatto non sussiste, condannando solo il capofamiglia Bonora per il reato di ricettazione alla pena di tre anni e tre mesi di carcere e al pagamento di una multa di 900 euro, più il risarcimento di 2.000 euro ad ognuna delle due parti civili costituite.
L’accusa non è dunque riuscita a dimostrare chi compì quel furto con raggiro in via Saragozza, nel quale la farmacista suicida ebbe il terrore di restare invischiata, ma solo che Bonora deteneva quella e altra merce oggetto di furto, compresi reperti archeologici, a scopo di ricettazione. L’avvocato Luciano Bertoluzza, difensore degli imputati insieme a Luca D’Apote, annuncia ricorso in Appello.