Corriere di Bologna

Il radiologo del nuovo corso «Autonomi, ma più aperti»

Il medico che lavora al Toniolo traccia gli obiettivi del mandato alla guida di Palazzo Saraceni

- Di Marina Amaduzzi

Confida che voleva rallentare un po’ l’attività alla casa di cura Toniolo, «dove lavoro 14 ore al giorno», per andare più spesso in vacanza in barca. «Invece il tempo che riuscirò a recuperare lo dedicherò alla Fondazione». Carlo Monti, 76 anni, nato a Vergiate («sono varesotto come l’altro Monti, il professor Mario», sorride) ma bolognese di fatto («ho frequentat­o il Galvani e poi Medicina», dice), è stato eletto ieri presidente della Fondazione Carisbo. Dopo il consiglio d’amministra­zione, ha partecipat­o al collegio di indirizzo e poco dopo l’ora di pranzo era già in via Toscana, al primo piano interrato della casa di cura, il suo regno. Dopo essere stato primario al Rizzoli, dirige infatti il servizio di Radiologia e di diagnostic­a per immagini del Toniolo. Sotto i suoi occhi è passata anche la risonanza magnetica del ginocchio di Roberto Baggio quando nel 2002 arrivò a Bologna con il legamento crociato lesionato e la prospettiv­a di veder sfumare il Mondiale. «Mi chiese quanto tempo ci avrebbe messo a riprenders­i — ricorda —, gli risposi che dipendeva da lui. Fu operato da Maurilio Marcacci e in 70 giorni recuperò pienamente, un fenomeno». Ricordi di una vita.

Presidente, com’è andato il primo giorno?

«Abbiamo spiegato un po’ di cose ai nuovi. Vede, in cda siamo in sette, di cui cinque appena entrati. Ricordo quando entrammo io e Stefoni (il professor Sergio, il secondo consiglier­e al secondo mandato, ndr) cinque anni fa: la Fondazione è una cosa complessa, anche se non è come fare il governo... Ho sempre detto che c’erano troppi vecchi, io stesso sono vecchio, ma la nuova compagine abbassa un po’ l’età. È un fatto positivo, i giovani portano idee nuove. Poi ci sono due donne, che entrano per la prima volta nella storia della Fondazione. Le competenze sono varie: Mattei e Gaiani sono esperti di bilanci e finanza, Patrizia Pasini e Maria Luisa Casini sono esperte di volontaria­to e a loro ho affidato la delega del welfare. Poi ci sono i tre medici, io, Stefoni, che è stato preside di facoltà, e Cacciari, che è stato direttore del Sant’Orsola».

L’accordo sul suo nome ha siglato la pace dopo anni di turbolenze tra soci e istituzion­i. È così?

«L’ho detto anche nel mio discorso. Il mio obiettivo è avere ottimi rapporti a tutti i livelli in Fondazione e all’esterno, con le istituzion­i, dal sindaco, al rettore, all’arcivescov­o. Dalla prossima settimana chiederò incontri a tutti anche per affrontare i problemi su cui possiamo convergere per trovare soluzioni. Le fondazioni di origine bancaria sono però gelose della loro autonomia come dice la legge Ciampi che le ha istituite e come è stato ribadito dalla sentenza della Corte costituzio­nale del 2003. Quindi la vita della Fondazione non deve subire nessuna pressione dall’esterno».

Ognuno stia nel suo? «Non parto col piede di guerra. Abbiamo problemi importanti, penso alle famiglie in povertà, per cui dobbiamo stringere rapporti con il terzo settore e trovare convergenz­e con le autorità pubbliche». Più sociale o più cultura nel futuro della Fondazione?

«I settori d’intervento previsti dal ministero delle Finanze sono 21. Noi all’origine ne scegliemmo 4: di questi, quello che ha fatto la parte del leone fino ad ora è stata la cultura. Fabio Roversi Monaco 15 anni fa ha avuto l’intuizione di creare un polo museale di cui si sentiva la necessità. È stata una spesa rilevante, ma allora c’erano molti più soldi di adesso. Alcuni anni fa si è posto il tema di come mantenere tutto questo. I palazzi costano, anche se li chiudessim­o. E poi abbiamo anche la Virtus, con i campi da tennis. È iniziato un percorso per incrementa­re maggiormen­te l’attività di erogazioni e l’impegno nel sociale. Come fanno le altre fondazioni italiane, che mediamente destinano a questa voce il 40% dei loro contributi. Noi siamo sotto il 40%».

Avevate l’obbligo di ridurre al 30% la quota di patrimonio impegnata in Intesa San Paolo entro aprile. Come siete messi?

«Speriamo che il nuovo ministro delle Finanze (Giovanni Tria, ndr) e Giuseppe Guzzetti (presidente dell’Acri, ndr), che ci rappresent­a tutti, possano trovare un’intesa che ci consenta di mantenere una quota un po’ superiore. È giusto che ci sia una diversific­azione, ma non slegare le fondazioni dalle banche. Le fondazioni rappresent­ano un punto di riferiment­o certo per il loro patrimonio e la loro stabilità. Il 40% di Intesa è rappresent­ata da fondi pensionist­ici americani: se questi si stufano, siamo rovinati. Le fondazioni, invece, sono una certezza. Se smontiamo questa certezza, rischiamo molto. Adesso non se ne parla di vendere, anche perché le azioni sono scese tanto che saremmo rovinati. Il ministero ci ha dato l’ok per non vendere sotto i 2,70 euro. Non rischiamo di ridurre il patrimonio in maniera drammatica e stupidamen­te».

Il nuovo Statuto istituisce la figura di presidente onorario: a quando la nomina?

«Siamo in attesa che il ministero approvi formalment­e la modifica statutaria che peraltro è stata concordata, non siamo i primi a inventare questa figura. Speriamo che arrivi entro fine mese».

Il nome di Gianfranco Ragonesi non è più un mistero.

«Ha dimostrato grandi qualità, una capacità e un’intelligen­za riconosciu­te non solo da chi come me gli è amico da tanto tempo».

E il suo predecesso­re Leone Sibani?

«Alle 8 meno cinque di stamattina mi ha chiamato per farmi gli auguri. Mi ha fatto piacere».

” Non parto con il piede di guerra, dialogherò con tutti ma la Fondazione è gelosa della sua autonomia

” Gli obiettivi Abbiamo problemi seri, penso alle famiglie in povertà, vanno stretti rapporti col terzo settore

” Le quote di Intesa? Speriamo che il nuovo ministro ci consenta di mantenere una quota superiore Le azioni sono scese tanto e ora di vendere non se ne parla

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