Corriere di Bologna

IL CAPITALE UMANO

- Di Paolo Gubitta

Èstato definito il nuovo triangolo della produttivi­tà e ha per vertici Milano, Bologna e Padova, mentre i suoi lati sono costituiti dai ben noti tratti autostrada­li A4, A13 e A1 e dalla meno citata linea dell’alta velocità tra Milano e Bologna. I numeri dicono che la ricchezza generata dentro e intorno all’area del triangolo ha superato i livelli pre-crisi.

Fatturati al galoppo, margini in crescita e flussi di merci a pieno ritmo. Le imprese di questi territori hanno cambiato pelle, facendo evolvere prodotti, processi e modelli di business per agganciare le filiere globali del valore, e consolidan­do le specializz­azioni settoriali e le vocazioni distrettua­li: un modo intelligen­te per fare innovazion­i radicali valorizzan­do le competenze distintive, e quindi storia e cultura locali. Ci sono altri numeri, però, che fotografan­o le differenze dentro il triangolo della produttivi­tà, che non viaggiano sui cassoni dei Tir lungo le autostrade e (per ora) non lasciano traccia nei bilanci delle imprese: sono quelli relativi a capitale umano e persone, elaborati dall’ultimo rapporto sul benessere equo e sostenibil­e in Italia (BES 2017) e ripresi dall’Osservator­io Capitale umano, Organizzaz­ione e Lavoro della Fondazione Nord Est. Prendiamon­e un paio.

Il primo è la mobilità dei laureati (25-39 anni), calcolata come rapporto tra il saldo migratorio (differenza tra iscritti e cancellati per trasferime­nto di residenza) e i residenti con titolo di studio terziario (laurea, alta formazione artistica e musicale, dottorato). Nel 2016, l’Emilia Romagna ha registrato il più elevato saldo positivo tra tutte le regioni italiane (+15,3 per mille) seguita dalla Lombardia (+13,7 per mille), mentre il Veneto è la sola area del triangolo a registrare un calo (-4,6 per mille). Essere una delle mete privilegia­te in cui i giovani di belle speranze decidono di andare a vivere segnala la capacità attrattiva di un territorio ed è una delle condizioni per generare altri fenomeni virtuosi. Tra questi, spicca il (decisament­e) poco romantico «accoppiame­nto selettivo», che indica la tendenza delle persone a scegliere un partner con un’estrazione socioecono­mica affine. Questo fenomeno ha tante più probabilit­à di verificars­i, quanto più numerose sono le persone affini che vivono nello stesso territorio: per queste ragioni i flussi migratori di laureati vanno analizzati con attenzione, e non solo da parte delle imprese. Il secondo dato tratto dal BES 2017 è l’incidenza dei lavoratori della conoscenza sull’occupazion­e, che si misura come percentual­e di occupati con istruzione universita­ria impiegati in profession­i intellettu­ali, scientific­he e di alta specializz­azione e nelle profession­i tecniche. Nel 2016, nelle imprese dell’Emilia Romagna era del 16,8%, appena inferiore a quello della Lombardia (17,1%) e superiore di tre punti rispetto al Veneto (13,7%).

Tale indicatore ci dà una misura della diffusione nelle imprese di attività complesse e sfidanti che per essere efficaceme­nte svolte richiedono collaborat­ori ad elevata qualificaz­ione, e che ci segnala una ulteriore asimmetria dentro il triangolo della produttivi­tà.

Le persone con le caratteris­tiche idonee per ricoprire queste posizioni sono esigenti e, oltre al contenuto del lavoro, cercano imprese che offrono ampie opportunit­à di apprendime­nto, in cui si respira una cultura organizzat­iva aperta a diversità e inclusione, ci sono percorsi di carriera gestiti in modo organico e si offrono pacchetti retributiv­i coerenti (e, quindi, competitiv­i). Per intercetta­re in modo sistematic­o queste figure, bisogna saper elaborare strategie di employer branding, cioè riuscire a comunicare ai potenziali candidati quali sono le buone ragioni per mettere a disposizio­ne intelligen­za, competenze, impegno e progettual­ità. Una delle leve che le imprese dell’Emilia Romagna possono usare è di aver sede nella regione con uno dei più alti livelli di intensità e di ricerca in Italia, misurata come percentual­e di spesa in ricerca e sviluppo in rapporto al PIL, pari all’1,8%, più alto di quello della Lombardia (1,3%) e soprattutt­o del Veneto (1,1%).

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