Riecco Pazienza e i suoi veleni «Carte inutili»
Dall’ex spione condannato per depistaggio solo carte velenose, nulla su Cavallini. I legali: un inquinatore
Le carte annunciate da Pazienza sono arrivate in Corte d’Assise. Un plico pieno di accuse e veleni ma che ha poco a che fare col processo bis sulla strage. Si tratta di vecchie carte nelle quali l’ex spia condannata per depistaggio vuole avvalorare un complotto contro di lui. «Vuole solo inquinare il processo». «Sfogo inutile», dicono gli avvocati delle parti.
A 72 anni e dopo dieci di carcere sembrava uscito di scena e invece prova ancora a veicolare le sue personali verità. Francesco Pazienza, ex faccendiere e braccio destro del generale Santovito, numero uno del Sismi dal ’78 all’81, ha inviato alla Corte d’Assise di Bologna che sta processando l’ex Nar Gilberto Cavallini per concorso nella strage alla stazione, il plico di documenti annunciato tramite telegramma per due udienze di seguito, insieme alla richiesta di essere sentito come teste nel processo. Ma in quelle 84 pagine recapitate due giorni fa al presidente Michele Leoni, non c’è alcun riferimento ai Nar o al coinvolgimento dell’imputato Cavallini o di altri nella strage di Bologna. Ci sono invece veleni incrociati, accuse, vecchie relazioni di Guardia di Finanza e polizia, lettere della Cia e dell’Fbi, tutto finalizzato a dimostrare, nella ricostruzione che ne fa Pazienza, che la sua condanna per depistaggio nella strage di Bologna fu un piano ordito dal magistrato romano Domenico Sica e dall’ex generale del Ros Mario Mori, che indagò sulla strage e ad aprile è stato condannato in primo grado a dodici anni di carcere per la trattativa Stato-mafia.
Il generale è tra i testi citati dagli avvocati dell’associazione dei familiari delle vittime della strage nel processo Cavallini. Pazienza dispensa veleni e accuse mai provate. «Mori ha rovinato la mia vita per fare carriera», scrive Pazienza in una lettera del 2005 indirizzata all’ex senatore di Forza Italia Lino Jannuzzi. Perché, questa la narrazione dell’ex spione, il generale avrebbe consegnato al pm Sica i rapporti informativi del Sismi che collegavano lo stesso Pazienza ai servizi segreti americani e a Licio Gelli, il capo della P2. Proprio al venerabile maestro è indirizzata una dura lettera che Pazienza scrisse il 31 gennaio 2007 per smentire le memorie pubblicate sul sito Dagospia, nelle quali Gelli scrisse che l’ex spia lo aveva supplicato invano di incontrarlo, mentre per Pazienza accadde l’esatto contrario. Nella lettera in questione rinfaccia a Gelli di non aver «mai sentito il bisogno di apparire in Tribunale per deporre sui nostri inesistenti rapporti». D’altronde, conclude, parafrasando Alessandro Manzoni, «l’onore chi non ce l’ha non se lo può dare». Il nome di Gilberto Cavallini compare in una sola riga delle 84 pagine di vecchi documenti: in una relazione di servizio di un brigadiere di Padova al quale nell’85, in attesa di testimoniare nel processo per l’assalto al distretto militare della città veneta, Walter Sordi, ex neofascista poi collaboratore di giustizia, disse che pochi giorni prima in carcere era stato «avvicinato da un uomo dall’apparente età di anni 30, alto metri 1,75, capelli scuri, occhi azzurri, il quale avvicinandosi e chiamandolo per nome, invitava il Sordi con atteggiamento deciso a dire che Cavallini gli aveva riferito che era stato Pazienza a mettere la valigetta sul treno Taranto-Milano». L’episodio a cui si fa riferimento è proprio quello del depistaggio per il quale è stato condannato a Bologna Pazienza, secondo il quale quella relazione fu insabbiata da Sica e Mori, che avrebbe anche prodotto
” La valigetta sul treno Sordi fu indotto a dire che Cavallini gli riferì che era stato Pazienza a depistare sulla strage
” Accuse e rancori Da Mori e Sica un complotto contro di me, non avevo rapporti con Gelli e lo sapevano
verbali di vane ricerche, falsi secondo Pazienza, dopo il mandato di cattura spiccato a suo nome nell’83, relativo al suo coinvolgimento nel crac Ambrosiano, nonostante fosse noto che risiedeva a New York. Una manovra necessaria, sostiene, per far sì che venisse condannato in contumacia.
Dalle carte si scopre inoltre che Pazienza fu nuovamente iscritto nel registro degli indagati dal pm Paolo Giovagnoli della Procura di Bologna nel 2003, indagine poi archiviata. Difficile che questi documenti portino le parti a chiedere che l’ex agente segreto sia sentito in aula come testimone. L’avvocato Andrea Speranzoni nei giorni scorsi aveva già osservato: «È un depistatore, potrebbe cercare di inquinare il processo, forse sta inviando messaggi a qualcuno». Anche per la difesa di Cavallini «in questi documenti — osserva l’avvocato Gabriele Bordoni — non c’è niente sulle responsabilità di Cavallini. Più che altro rivelano che nelle stanze del potere e dei servizi in quegli anni c’erano veleni, antipatie e vendette personali, messe in atto da piccoli uomini che si accusavano di nefandezze, nulla più. Mi sembra più lo sfogo di un uomo che è stato ricco e potente ed è passato dalle stelle alle stalle, ho rispetto per la vicenda umana visto che ha pagato il suo debito ma non è utile al processo».