Corriere di Bologna

Fioravanti e il camerata Cavallini «Adesso tocca a lui spiegare»

L’ex Nar al processo Cavallini parla dei familiari: «Non ho un brutto rapporto con Bologna ma con i pm» Poi l’affondo sull’allora compagno d’armi sotto processo: «I silenzi di Digilio si ritorcono contro di lui»

- Andreina Baccaro

Ha parlato del suo rapporto con Bologna e per la prima volta di quello con i parenti delle vittime della strage: «Sono stati duri con me ma corretti. Nulla contro la città, solo con i magistrati». Valerio Fioravanti ha concluso la sua deposizion­e al processo bis del 2 Agosto e incalzato Cavallini: «Ora i suoi silenzi su Digilio sono un boomerang».

Valerio Fioravanti e Bologna. Con la città che secondo le sentenze l’ex Nar avrebbe insanguina­to il 2 agosto 1980, «non ho un cattivo rapporto, forse con alcuni magistrati della città, ma Bologna non mi ha fatto niente». Così Fioravanti, ieri di nuovo in aula sul banco dei testimoni nel processo per concorso in strage a Gilberto Cavallini, ha spiegato perché «non mi peserebbe dire che ho passato uno, due, dieci giorni qui, ma non l’ho fatto». E sui parenti delle vittime ha aggiunto: «Nessuno di loro ha mai avuto gesti scomposti nei nostri confronti. Sono stati duri, ma mai scorretti». Parole per i familiari che arrivano per la prima volta dopo lunghe ore di deposizion­e, ma anche dopo l’esternazio­ne: «Gli altri mi consideran­o un terrorista fascista, ma io non mi sento tale». Un concentrat­o di balle, ha commentato a fine udienza Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazio­ne dei familiari delle vittime.

Bologna, dicevamo. Perché, la domanda dell’avvocato di parte civile Nicola Brigida, Fioravanti dice di non essere mai stato a Bologna se nei verbali dell’81 rivelò invece che proprio qui i Nar avevano un covo? La risposta porta Fioravanti a spiegare la sua strategia in quegli anni in cui, mentre uno cadeva nelle mani di polizia e carabinier­i, sapeva che altri camerati erano in fuga:

” Sul presunto complice «Cavallini ha sempre rifiutato di dire chi fosse zio Otto, ora quei silenzi sono un boomerang»

«Verbali e processi erano la prosecuzio­ne della guerra con altri mezzi. Parlai di Bologna perché sapevo che era l’ultimo posto dove Francesca (Mambro, ndr) e mio fratello sarebbero venuti». Ma la latitanza finirà anche per loro, dietro le sbarre i Nar studiano una strategia. «La legge che ci ha fatto davvero male — dice — fu quella sulla dissociazi­one, non quella sui pentiti. Permetteva a chi parlava solo delle cose che aveva fatto in prima persona, senza svelare nomi, di ottenere dei benefici».

Secondo l’ex Nar in quegli anni il pm Pierluigi Vigna e l’allora direttore generale del Dap decisero di permettere anche ai terroristi neri, come per le Br, di uscire dall’isolamento e incontrars­i nelle carceri, perché potessero confrontar­si. «Il fautore fu il giudice Nicolò Amato, che è il padre del vostro procurator­e (Giuseppe, ndr) e dirigeva il Dap in quegli anni. Ma fu un grave errore per noi perché Amato capì che non eravamo forti come le Br, ma pochi e deboli e non servivano i benefici per sconfigger­ci». Per dividere e far parlare gli ex Nar, allora, le misure furono inasprite, ma Fioravanti e Mambro non scelsero mai di collaborar­e. «Misero me e Francesca in due carceri diverse».

Anche ieri però Fioravanti ha cercato di dire e non dire tenendo per sé un nome: quello di chi fece con lui un attentato dinamitard­o nel ’77 a un circolo culturale a Roma. In passato aveva sempre detto d’essere solo, poi si è tradito in aula. «Rischia un’incriminaz­ione per testimonia­nza reticente», gli ha ricordato il giudice Leoni. «I reati sarebbero prescritti — ha risposto —, ma siamo in epoca di social network, non voglio esporre inutilment­e una persona», ha detto facendo intendere che chi lo aiutò potrebbe essere ora un politico. «Se volete un nome vi dico che ero con Alessandro Alibrandi», uno dei Nar morto in un conflitto a fuoco.

A proposito di depistaggi, ieri la Corte ha annunciato che l’ex agente segreto Francesco Pazienza non sarà chiamato a testimonia­re: «Potrebbe essere inutile se non fuorviante». L’imputato Gilberto Cavallini, invece, sarà chiamato alla sbarra dopo i testi di parte civile e a lui sarà chiesto di rivelare chi era zio Otto, l’armiere che secondo il suo alibi avrebbe incontrato a Venezia il 2 agosto. Un’identità che Cavallini non ha mai voluto rivelare, negando fosse l’ordinovist­a Carlo Digilio, ormai morto, che, secondo i Nar, avrebbe potuto scagionarl­i dalla strage. «Si sta ritorcendo contro di lui» ha concluso Fioravanti.

” In carcere «La legge sulla dissociazi­one ci fece male, i fautori furono Vigna e Amato»

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