L’«Arcipelago Italia» di Cucinella
L’architetto dalla Biennale di Venezia: «Il modello di Bologna va protetto»
«Se tolgo le città metropolitane dalla mappa d’Italia restano solo le isole». Per questo l’architetto bolognese ha chiamato «Arcipelago Italia» il padiglione che ha curato alla Biennale di architettura.
«A Bologna la valorizzazione delle aree militari è concepita in termini di profitto invece andrebbe ridiscussa», ad ogni modo la città «è un modello» ma la sua struttura che si divide tra colli e pianura andrebbe protetta e così i servizi vanno condivisi».
Riscoprire un’altra Italia, quella interna, fragile ma ricca di potenzialità. È il viaggio intrapreso da Mario Cucinella per la curatela del Padiglione Italia alla Biennale di architettura di Venezia inaugurata alla fine di maggio e aperta fino al prossimo autunno.
L’architetto che ha scelto Bologna come residenza e spazio di lavoro, non casualmente alla Bolognina, ha intitolato il suo lavoro all’Arsenale «Arcipelago Italia», «perché se dalla mappa d’Italia tolgo le città metropolitane mi rimane un tessuto fatto da tante isole»: allestimento visivamente spettacolare che, supportato da cinque specifici proposte per il paese, offre prospettive e itinerari inediti da Bolzano a, come si dice, Lampedusa. Passando anche da Bologna e il suo territorio, certo. «A Venezia presento un “viaggio in Italia” recuperando la guida del Touring che ha fatto la storia delle guide del mondo: tutti l’hanno copiata perché era una guida molto dettagliata, uno strumento straordinario che ha fatto conoscere il paese, tant’è che gli stranieri hanno l’immagine del nostro paese attraverso quelle fotografie. È emerso così un itinerario con paesaggi dimenticati e al tempo stesso architetture contemporanee che vivono con la storia e operano nei tessuti fragili come le aree interne. Sono felice che molti acquistino il catalogo proprio per gli itinerari proposti».
I progetti presentati invece insistono sulle aree fragili, interne
«Abbiamo individuato cinque aree affidate a sei progettisti. Sono cinque nervi scoperti del paese che andavano denunciati, in modo propositivo perché sono delle opportunità di rilancio: il lavoro nelle foreste Casentinesi (realizzato dallo studio bolognese Diverserighe), sulle aree del terremoto come Camerino sugli scali ferroviari, Gibellina opera incompiuta e Sardegna come polo industriale abbandonato. Parliamo di filiere economiche da riattivare, di grandi aree da rilanciare e valorizzare».
Un po’ come le ex aree militari a Bologna, che però faticano a partire.
«Ed è un’occasione persa perché cercano di valorizzarle solo in termini di profitto e invece il tutto andrebbe ridiscusso: la verità è che le città di oggi non assorbono più niente…».
Si potrebbe parlare di Staveco come dei Prati di Caprara sui quali ha presentato un progetto per tenere tutto «verde». Piuttosto, Bologna può essere intesa come un arcipelago?
«Bologna è un arcipelago ma ha anche una struttura meravigliosa che si divide fra colli e pianura, in un ecosistema diverso, valorizzare queste differenze è interessantissimo. Ora è difficile intendere la città metropolitana in senso fisico, perché lo è solo in senso amministrativo. La cosa
” Bologna ha una struttura meravigliosa che si divide fra colli e pianura, in un ecosistema diverso, valorizzare queste differenze è interessantis simo
Qui c’è una qualità della vita urbana accettabile, un rapporto economico col territorio, il tema dell’industri a prossimo ma non dentro la città, l’agricoltura che sconfina con la città
quindi che tiene tutto insieme l’arcipelago è il vuoto, campi agricoli, parchi e giardini. Occorre perciò proteggerlo ma farlo diventare anche luogo di lavoro, l’elemento che unisce pezzi frammentati e distanti. Poi c’è il tema sui servizi e che non tutto converga su Bologna, ma devono essere condivisi nel territorio».
Il concetto di città metropolitana è da rivedere?
«La dimensione metropoli è talmente grande nel mondo che non è più gestibile: costi di gestione altissimi che impediscono una crescita che abbia un senso per la vita della gente. È la negazione dell’ideale 800 e 900. Anche Shangai ha deciso di non crescere più. L’Italia è in un’altra condizione. A Venezia ho cercato di spiegare che il modello italiano di città-territorio è diverso dagli altri Paesi: inseguire l’idea metropolitana tradisce le radici profonde del Paese composto da tante città modello, culturale ed economico».
Bologna è un modello?
«Come altre città italiane. C’è una qualità della vita urbana accettabile, un rapporto economico col territorio, il tema dell’industria prossimo ma non dentro la città, il tema dell’agricoltura che sconfina con la città e alla fine forse possiamo raccontare al mondo che questo potrebbe essere un nuovo modello di sviluppo urbano nel mondo. Rileggere lo spazio urbano: l‘idea dell’industria nelle città che è leggera e non inquina, il lavoro torna dentro la città. Forse noi siamo un po’ in ritardo come Paese, ma recuperando un modello, possiamo proporre una vita più sostenibile. Noi, con la rete delle 100 città italiane e i paesaggi, la cultura e una connessione fra l’una e l’altra paragonabile ai quartieri delle megalopoli, siamo la più grande green city del mondo».