LO STRANO GIOCO DELLA LEGA
Se non fosse una questione seria, verrebbe da pensare che chi di propaganda ferisce di propaganda perisce. L’accordo firmato il 18 ottobre dell’anno scorso tra l’allora premier Gentiloni e il governatore Bonaccini per avviare l’iter dell’autonomia della nostra Regione in alcuni ambiti (sanità, lavoro, istruzione tecnica e professionale, ambiente e infrastrutture, imprese, ricerca scientifica e tecnologica) aveva evidentemente anche una motivazione politica. Il Pd, infatti, voleva bruciare sul tempo le amministrazioni leghiste del Veneto e della Lombardia che avevano indetto per il 22 ottobre i rispettivi - non necessari referendum finalizzati a ottenere dal loro «popolo» il sostegno alla richiesta di maggiori poteri. Non a caso Bonaccini dichiarò: «Abbiamo scelto di non spendere 20 milioni di euro per il referendum. In Veneto e Lombardia è scontato che i cittadini voteranno Sì». Poi, però, sia il governo di centrosinistra sia lo stesso Bonaccini marciarono tutto sommato assieme a Zaia e Maroni, evitando che le diverse bandiere di partito fossero di ostacolo. Tant’è vero che il 28 febbraio, ossia pochi giorni prima delle elezioni politiche, i tre governatori siglarono insieme all’allora sottosegretario Bressa l’intesa preliminare sulle nuove competenze locali. Ora, invece, assistiamo alle accelerazioni del Carroccio che sembrano voler frenare le rivendicazioni dell’Emilia-Romagna.
Dopo l’annuncio di Roberto Calderoli a Pontida del disegno di legge «Attribuzione alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari di autonomia» (iniziativa di dubbia efficacia, peraltro), a tifare contro è intervenuto addirittura Alan Fabbri, capogruppo della Lega in Viale Aldo Moro, prontamente spalleggiato dal segretario regionale Gianluca Vinci. Una simile strategia appare assai poco lungimirante. Come notava Olivio Romanini nell’editoriale di ieri, se Salvini vuole avanzare ulteriormente da queste parti, è necessario che riesca a convincere il mondo produttivo attento alla sostanza: parliamo ovviamente di infrastrutture, di misure che facilitino il fare impresa e anche della possibilità che le decisioni utili al territorio siano in mani vicine. Fabbri e Vinci, insomma, avrebbero fatto meglio a sostenere le istanze autonomistiche, magari rilanciando chiedendone di più, come hanno fatto Veneto e Lombardia.
Considerando come dal governo in carica le dichiarazioni roboanti e gli annunci risultino di gran lunga più numerosi dei provvedimenti deliberati, non c’è da stupirsi troppo della «guerra di parole». È auspicabile si tratti solo della coda della campagna elettorale e della volontà di far passare il messaggio del «cambiamento». Sarebbe grave se così non fosse, poiché nelle democrazie solide le istituzioni sono sottratte dalle dinamiche partitiche. Vale dunque la pena ricordare che penalizzare una realtà locale solo in quanto non allineata con la maggioranza nazionale significa punire i cittadini (tutti). I quali difficilmente gradirebbero la «gentilezza».