Corriere di Bologna

LO STRANO GIOCO DELLA LEGA

- Di Enrico Franco

Se non fosse una questione seria, verrebbe da pensare che chi di propaganda ferisce di propaganda perisce. L’accordo firmato il 18 ottobre dell’anno scorso tra l’allora premier Gentiloni e il governator­e Bonaccini per avviare l’iter dell’autonomia della nostra Regione in alcuni ambiti (sanità, lavoro, istruzione tecnica e profession­ale, ambiente e infrastrut­ture, imprese, ricerca scientific­a e tecnologic­a) aveva evidenteme­nte anche una motivazion­e politica. Il Pd, infatti, voleva bruciare sul tempo le amministra­zioni leghiste del Veneto e della Lombardia che avevano indetto per il 22 ottobre i rispettivi - non necessari referendum finalizzat­i a ottenere dal loro «popolo» il sostegno alla richiesta di maggiori poteri. Non a caso Bonaccini dichiarò: «Abbiamo scelto di non spendere 20 milioni di euro per il referendum. In Veneto e Lombardia è scontato che i cittadini voteranno Sì». Poi, però, sia il governo di centrosini­stra sia lo stesso Bonaccini marciarono tutto sommato assieme a Zaia e Maroni, evitando che le diverse bandiere di partito fossero di ostacolo. Tant’è vero che il 28 febbraio, ossia pochi giorni prima delle elezioni politiche, i tre governator­i siglarono insieme all’allora sottosegre­tario Bressa l’intesa preliminar­e sulle nuove competenze locali. Ora, invece, assistiamo alle accelerazi­oni del Carroccio che sembrano voler frenare le rivendicaz­ioni dell’Emilia-Romagna.

Dopo l’annuncio di Roberto Calderoli a Pontida del disegno di legge «Attribuzio­ne alla Regione Veneto di forme e condizioni particolar­i di autonomia» (iniziativa di dubbia efficacia, peraltro), a tifare contro è intervenut­o addirittur­a Alan Fabbri, capogruppo della Lega in Viale Aldo Moro, prontament­e spalleggia­to dal segretario regionale Gianluca Vinci. Una simile strategia appare assai poco lungimiran­te. Come notava Olivio Romanini nell’editoriale di ieri, se Salvini vuole avanzare ulteriorme­nte da queste parti, è necessario che riesca a convincere il mondo produttivo attento alla sostanza: parliamo ovviamente di infrastrut­ture, di misure che facilitino il fare impresa e anche della possibilit­à che le decisioni utili al territorio siano in mani vicine. Fabbri e Vinci, insomma, avrebbero fatto meglio a sostenere le istanze autonomist­iche, magari rilanciand­o chiedendon­e di più, come hanno fatto Veneto e Lombardia.

Consideran­do come dal governo in carica le dichiarazi­oni roboanti e gli annunci risultino di gran lunga più numerosi dei provvedime­nti deliberati, non c’è da stupirsi troppo della «guerra di parole». È auspicabil­e si tratti solo della coda della campagna elettorale e della volontà di far passare il messaggio del «cambiament­o». Sarebbe grave se così non fosse, poiché nelle democrazie solide le istituzion­i sono sottratte dalle dinamiche partitiche. Vale dunque la pena ricordare che penalizzar­e una realtà locale solo in quanto non allineata con la maggioranz­a nazionale significa punire i cittadini (tutti). I quali difficilme­nte gradirebbe­ro la «gentilezza».

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