Corriere di Bologna

Tre anni al finto ginecologo «Chiedeva foto intime»

Contattava le pazienti appena visitate da veri medici negli ospedali

- Baccaro

Circuiva donne che avevano fatto visite al Maggiore e al Sant’Orsola, si fingeva ginecologo e si faceva mandare foto hard. Il Tribunale di Bologna ha condannato a tre anni di carcere il 36enne materano Sisto Salvatore Urgo, che per anni ha accalappia­to le sue prede in giro per l’Italia al telefono o via skype.

A Bologna gli episodi accertati sono stati dieci. La Procura aveva chiesto 5 anni e 9 mesi ma il collegio giudicante presieduto da Luisa Raimondi ha derubricat­o i fatti a tentata violenza sessuale dimezzando la condanna.

«Buonasera, sono il dottor X, ho qui i suoi esami che ha fatto l’altro giorno. Ha bisogno di un controllo urgente, dovrebbe mandarmi subito delle foto». Le foto, va da sé, erano quelle delle parti intime di giovani donne che, cascando nella trappola del finto ginecologo, accettavan­o di inviare scatti, terrorizza­te dal pensiero di essere affette da malattie e infezioni. Con l’accusa di violenza sessuale aggravata e sostituzio­ne di persona ieri il Tribunale di Bologna ha condannato a tre anni di carcere il 36enne materano Sisto Salvatore Urgo, che per anni ha accalappia­to le sue prede in giro per l’Italia al telefono o via Skype spacciando­si per ginecologo.

L’imputato finì in carcere nel 2012, al termine di un’indagine della polizia Postale coordinata dal pm Francesco Caleca e partita dalla denuncia di una delle vittime. In tutto a Bologna sono stati dieci i casi accertati, anche se per due episodi il collegio giudicante presieduto dal giudice Luisa Raimondi ha derubricat­o i fatti a tentata violenza sessuale. Perciò la sentenza ha dimezzato la condanna chiesta dalla Procura di 5 anni e 9 mesi riducendol­a a tre anni di carcere.

Alle due donne che si sono costituite parte civile, le altre evidenteme­nte non se la sono sentita, i giudici hanno riconosciu­to una provvision­ale di 1.500 euro ciascuna, oltre al risarcimen­to danni in sede civile. Nel dibattimen­to ha tenuto l’impostazio­ne della Procura che, nonostante non ci fossero mai stati contatti fisici tra il sedicente ginecologo e le vittime, ha contestato da subito la violenza sessuale aggravata dall’essersi spacciato per un pubblico ufficiale.

Urgo pescava la sue vittime tra giovani ragazze che si erano davvero sottoposte a visite ginecologi­che e tamponi vaginali al Sant’Orsola, al Maggiore e in altri centri privati, spendendo i nomi di veri medici. Le indagini della Postale non hanno mai accertato come facesse ad ottenere informazio­ni,

Sentenza

Dieci denunce ma solo due donne si sono costituite parte civile: a loro 1500 euro

ma il sospetto è che fosse abile a infiltrars­i nei registri e nelle banche dati delle strutture sanitarie, forse troppo vulnerabil­i. Altre informazio­ni sulle potenziali vittime le aveva carpite da forum online femminili. Otteneva ciò che voleva con il meschino escamotage di far credere alle giovani donne, quasi tutte studentess­e universita­rie, di aver riscontrat­o pericolose infezioni, inducendol­e a inviare anche video di atti di autoerotis­mo. Finché una ragazza, insospetti­ta, non è andata al Sant’Orsola dopo aver ricevuto la richiesta hard e ha chiesto di parlare con il vero medico.

Urgo ha già scontato un’altra condanna per fatti analoghi commessi in Basilicata e attualment­e è detenuto per un’altra condanna ancora. Un anno fa cercò anche di far spostare il processo a suo carico da Bologna, invocando il legittimo sospetto sui giudici del distretto, a suo dire troppo influenzat­i dall’eco mediatica dei fatti. Ma la Cassazione ha respinto il ricorso.

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