DECRETO DIGNITÀ BOOMERANG
Chissà perché Luigi Di Maio si ostina a non capire (o più probabilmente continua a fingere di non capire) un concetto tutto sommato semplice: la stretta sui contratti a termine non genererà alcun aumento dei contratti a tempo indeterminato. Gli automatismi non esistono: se togli da una parte non aggiungi niente dall’altra. Insomma, il Decreto dignità, così come è stato concepito, non creerà buona occupazione. Peggio: almeno nell’immediato avrà addirittura ripercussioni negative sul mercato del lavoro. Ha voglia, Di Maio a indignarsi. Ben prima di Tito Boeri, presidente dell’Inps, e dello scontro all’arma bianca sugli 8 mila posti all’anno che andrebbero perduti, sono stati in molti a provare a spiegare al superministro del Lavoro e dello Sviluppo economico questo clamoroso effetto boomerang. A partire da Matteo Zoppas, presidente di Confindustria Veneto, e Pietro Ferrari, leader degli industriali dell’Emilia Romagna, passando per il trentino Enrico Zobele. In pratica, i big di quel nuovo triangolo industriale MilanoVenezia-Bologna, dove la ripresa ha permesso di recuperare abbondantemente i livelli lavorativi ante-crisi e dove oggi il tasso di disoccupazione viaggia intorno al 6 per cento. Il coro, fin da subito, è stato unanime: la riduzione della durata dei contratti a termine, compresi quelli in somministrazione, e soprattutto la reintroduzione delle causali porteranno a un maggiore turnover di lavoratori (ogni 12 mesi si cambierà personale).
Non basta: in questo scenario un buon numero di contratti non verrà rinnovato.
Si torna dunque al punto di partenza: l’idea di un travaso tra contratti a termine e contratti a tempo indeterminato è lontana anni luce dalla realtà. Intanto il Decreto dignità ha cominciato il periglioso passaggio parlamentare. Già si parla di un migliaio di emendamenti. Mentre il Movimento 5 Stelle e la Lega avrebbero raggiunto l’accordo su un paio di mosse: la reintroduzione dei voucher in settori come l’agricoltura e il turismo e la restituzione dello 0,50 per cento di aggravio contributivo nel momento del passaggio al tempo indeterminato. Modifiche che non ribaltano l’impianto del Decreto.
La lotta alla precarietà è un capitolo qualificante del governo del cambiamento? Perfetto. Solo che la strada non è ostacolare i contratti a termine ma favorire (davvero) quelli a tempo indeterminato. La partita di giro dello 0,50 per cento non può nemmeno essere ascritta alla voce incentivi. Occorre un grande piano di agevolazioni, non esclusivamente riservato agli under 30, che parta dalla formazione e arrivi all’assunzione. Per inciso, la decontribuzione di Matteo Renzi era costata una ventina di miliardi. Ci vogliono quattrini e idee. Un dato, però, è certo: nel nuovo triangolo industriale le imprese non vogliono lavoratori precari ma altamente qualificati.