«Mio padre Guareschi, il lager e il giornalismo»
L’anniversario Cinquant’anni fa moriva il poliedrico autore. Tra le celebrazioni, la mostra itinerante «Ruote 77» che ripercorre il reportage in bici per il «Corriere» da Piacenza a Rimini. Il figlio Alberto: «Imparò a fare il giornalista nei lager»
Chissà che risate si starà facendo Giovannino Guareschi all’idea di finire su un francobollo celebrativo. Succede oggi, per ricordare i 50 anni dalla morte del papà di Don Camillo e Peppone, il cantore del «Piccolo mondo», scomparso a Cervia nel 1968. Nella città romagnola, nel parmense dove nacque e altrove varie saranno le iniziative per ricordarlo (info: www.giovanninoguareschi.com). Perché egli, come ci suggerisce il figlio Alberto, «ancor oggi riesce a trasferire con le sue opere (e con i film tratti da queste) la sua carica umana di positività, commuovendo, divertendo e, quando necessario, confortando i suoi lettori». I suoi libri sono tra le opere italiane più vendute nel mondo, con oltre 20 milioni di copie.
Un aspetto forse meno noto della sua poliedrica attività (fu disegnatore, umorista, scrittore, sceneggiatore, fotografo, e proprio a Cervia si può ammirare una mostra di suoi scatti) è quello del giornalista. Un lavoro che sviluppò dagli anni giovanili al dopoguerra, fino al Candido, passando per collaborazioni alla Stampa e al Corriere della Sera e per un’attività nei lager tedeschi dove fu internato. Qui, nella devastazione della prigionia dura, organizzò iniziative di informazione e intrattenimento per gli internati, leggendo a voce, di baracca in baracca, un giornale, il Bertoldo parlato.
Alberto Guareschi ricorda: «Mio padre aveva ben chiaro il ruolo che doveva svolgere come giornalista: «La mia scuola di giornalismo politico non l’ho fatta in una sede di partito… Io l’ho fatta in un lager: e migliaia di degni galantuomini che hanno vissuto quei dolorosi giorni assieme
” Ancor oggi mio padre riesce a trasferire con le sue opere (e con i film tratti da queste) la sua carica umana di positività, commuove ndo, divertendo e, quando necessario, conforta ndo i suoi lettori
a me possono testimoniare come il tenente Guareschi signor Giovannino abbia onorevolissimamente svolto la sua attività di giornalista libero, onesto e sereno dal primo all’ultimo giorno nel Lager. Ho imparato, in quella dura scuola, come sia bello, come sia virile, come sia civile dire pubblicamente ciò che si pensa, specialmente quando ciò comporti un grave rischio».
A questo aspetto della sua attività è dedicata una delle mostre della celebrazione, a cura del Gruppo degli amici di Giovannino Guareschi e del suo presidente Egidio Bandini. Si intitola «Ruote 77» e racconta, 77 anni dopo, un reportage per il Corriere della sera sulla via Emilia, da Piacenza a Rimini, con ritorno via Ferrara (si potrà vedere in varie città e arriverà al Meeting di Rimini dal 19 al 25 agosto). La follia del viaggio consiste nel fatto che fu intrapreso su una bicicletta.
Bandini così racconta l’origine di un tale «Giro d’Italia»: «Nel 1941 mandò una lettera al direttore del Corriere, Aldo Borelli, proponendogli il viaggio in bicicletta e limitandosi a domandare un contributo alle spese, una dichiarazione che lo qualificasse come giornalista al lavoro per il Corriere (c’era la guerra), una foto da pubblicare eventualmente nel “Chi l’ha visto?” della Domenica del Corriere e “un sedere di ricambio alla fine del viaggio”. Fu qui che iniziò a concepire il suo “mondo piccolo”, quella fetta di terra grassa e di umanità che sta tra il monte e il mare, tra il fiume e l’Appennino».
Angelo Varni, storico e ex presidente dell’Ibc, ha dedicato un volume agli articoli di Guareschi per il Corriere e alla sua corrispondenza con il direttore Borelli. Ci spiega: «Nei suoi articoli si scorge la vena del cronista capace di rendere più vera la realtà di quello che è, andando a cogliere con ironia il costume, la società, sospeso tra nostalgia del passato e di tradizioni abbandonate e capacità di cogliere i segni della modernità che avanza. Si leggano i suoi articoli sugli sci a Cortina o sull’uso smodato delle macchine fotografiche». Sul viaggio in Emilia, il professore cita un’osservazione folgorante di Pier Vittorio Tondelli: «Guareschi più che descrivere monumenti o fatti coglie i costumi, i rapporti tra le persone, in un bellissimo reportage ricco di aforismi, impressioni di viaggio, inconvenienti, personaggi curiosi». E aggiunge di suo: «Descrive un’epoca, riuscendo a dare un ritratto dell’umanità di sempre. Per questo la sua opera è ancora così letta e amata». E Bologna, nel reportage? Risponde Bandini: «Parte verso la vostra città all’una di un giorno di luglio, dichiarandosi vittima del Lambrusco bevuto a Modena. E scrive solo una frase: “Bologna è una città che incomincia sempre, e non finisce mai!”». Folgorante.