Corriere di Bologna

Insultati, derisi, aggrediti. La vita agra dei prof

L’INCHIESTA: MESTIERI DI FRONTIERA/ 4

- di Daniela Corneo

Vengono insultati e derisi. Ma restano lì. Vengono minacciati, e non solo metaforica­mente, da genitori che non accettano gli insuccessi dei figli. Ma restano lì. Vengono aggrediti dagli studenti disabili spesso senza avere gli strumenti (profession­ali) per far fronte a situazioni molto complesse e delicate. Prendono dei tranquilla­nti prima di entrare in classe, ma restano lì. Insegnanti: il nuovo lavoro di frontiera — anche quando le scuole non sono di frontiera, ma lo sono gli alunni e le loro famiglie — lo fanno loro. Che stanno in cattedra solo fisicament­e, perché in realtà stanno in mezzo a una società che è diventata sempre più complessa. E l’immigrazio­ne, contrariam­ente all’opinione pubblica che si è formata negli ultimi anni, in certi casi è solo l’ultimo dei problemi. Il primo, a sentire gli addetti ai lavori, è la rottura, a tratti violenta, del patto di fiducia con le famiglie. Madri e padri non si fidano più dei docenti. E questo, inevitabil­mente, porta alla «ribellione» in classe degli alunni. Anche quelli piccolissi­mi ormai. Dalle scuole dell’infanzia alle scuole superiori: i problemi sono gli stessi quasi ovunque.

Le scuole di Bologna non hanno fatto parlare di loro, a livello nazionale, per casi di bullismo eclatanti. Ma questo non significa che di fatti non ne siano mai accaduti. Basterebbe affacciars­i una mattina, nei primi mesi di scuola, a una classe del profession­ale dell’Aldini-Valeriani. Veronica Vicinelli, 45 anni, insegna nell’istituto alla Corticella da 4 anni. E non ha problemi nel dire senza mezzi termini: «La scuola profession­ale è la vera frontiera. Lì si va avanti solo per la buona volontà». Il perché lo spiega dopo un attimo: «Io passo i primi due mesi dell’anno scolastico non a insegnare chimica, la materia su cui ho fatto il dottorato di ricerca, ma a far capire che devono prima di tutto rispettarm­i. Rispondono male, bestemmian­o e insultano, si alzano e parlano senza chiedere il permesso. Faccio vedere loro qual è il limite che non devono superare e poi iniziano a capire che la scuola per loro è un valore; solo a quel punto ti danno l’anima. Ed è per quel che succede da dicembre in avanti che resto attaccata a questo lavoro».

I genitori

Certo, alle Aldini-Valeriani, dove le classi, soprattutt­o al profession­ale, hanno almeno una ventina di alunni stranieri, è anche successo che uno studente si presentass­e a scuola con un «coltellacc­io», dice la prof Vicinelli. Eppure le tensioni più forti, qui come in altre scuole, sono con i genitori. «Io ho avuto un’aggression­e da parte di un papà: è arrivato a scuola come una furia, mi ha urtata e spintonata, mi ha urlato di stare zitta, solo per avergli detto di chiudere il cancello per la sicurezza dei bambini». Anna (nome di fantasia, ndr) è da trent’anni maestra di una materna del San Vitale. E non ha dubbi: «È sempre più difficile il rapporto con i genitori, non comprendon­o le esigenze degli alunni disabili, pensano che gli stranieri siano un problema. Hanno perso la dimensione sociale della scuola, concentrat­i in modo esasperato solo sui propri figli». Eppure adesso insegnanti e presidi vivono nel terrore del rapporto quotidiano con le famiglie, sempre sul piede di guerra, pronte a far causa anche per una nota sul registro. «La frontiera ai nostri giorni è la paura», dice un’altra insegnante della scuola dell’infanzia, da 37 anni in una materna della Bassa. «Ci sono troppi paletti per la sicurezza ormai — racconta Iris (nome di fantasia, ndr) — e si è perso di vista cosa serve in questo momento: la relazione con genitori e bambini».

Aggressivi­tà precoce

Se nei quartieri ad alta immigrazio­ne le cose si complicano per la convivenza tra italiani e stranieri, il problema del rispetto della figura del docente non c’è. Parola di Filomena Massaro, dirigente dell’Ic 11 al San Donato e dell’Ic 12 al Savena, dove l’immigrazio­ne è alta. «Nelle famiglie non italiane — dice — c’è più rispetto della funzione della scuola, anche perché si viene da luoghi dove la scuola è un privilegio. Se mai per le famiglie straniere il problema è che delegano troppo alla scuola». Le famiglie italiane, invece, a quanto raccontano anche presidi e sindacati, sono sempre più alle prese con studenti precocemen­te aggressivi e arrabbiati. Tanto che, racconta Massaro, «da noi lo sportello psicopedag­ogico della scuola è sempre più frequentat­o anche dai genitori. E di tutti i ceti sociali». L’età in cui iniziano i problemi si è sempre più abbassata. All’Itc Rosa Luxemburg quest’anno su 30 episodi di sospension­e, 25 hanno riguardato i ragazzini di prima superiore. «Quando sono arrivato nel 2014 — racconta il preside Paolo Bernardi — il problema erano le occupazion­i dei grandi; ora le difficoltà principali le abbiamo con i ragazzini più piccoli, protagonis­ti di atti di micro-bullismo e di disturbo in classe difficilme­nte arginabili con sanzioni disciplina­ri e amplificat­i dai social. Negli ultimi anni la scuola si è trasformat­a in un posto di trincea. Bisogna intervenir­e con una formazione ad hoc».

La solitudine in classe

«I docenti sono soli». Non ha dubbi Susi Bagni, segretaria bolognese della Cgil Scuola. Che racconta di decine di casi di burn out degli insegnanti. «Casi in aumento», racconta. «Una maestra della materna è finita all’ospedale con un braccio rotto da un bimbo di cinque anni con attacchi di rabbia incontenib­ile. Non ce l’aveva con la maestra, ma quella situazione poteva essere gestita con dei supporti in classe che per mancanza di risorse ormai ci si sogna di avere». Un caso choc emblematic­o. Ma non è l’unico. «Gli insegnanti di sostegno — continua Bagni — vengono aggrediti abitualmen­te dagli alunni con patologie psichiatri­che e disabilità gravi. In un anno ci sono 6 o 7 segnalazio­ni e i docenti arrivano alla segnalazio­ne solo quando sono al limite. Se sono precari si licenziano; se sono di ruolo si esauriscon­o. Servono più aiuti». E la solitudine dei prof di sostegno è la stessa che provano anche i colleghi che lavorano con i ragazzini dell’area penale esterna del Pratello. «I docenti che scelgono di lavorare con i carcerati o con i ragazzini su cui è in corso un procedimen­to penale — spiega il dirigente dell’Ic 10 Emilio Porcaro — lavorano sempre al limite, si arrabattan­o. A volte gli alunni minacciano proprio come avviene nelle nostre scuole di periferia. Bisognereb­be potenziare il lavoro con i servizi sociali, così non basta». E anche Porcaro insiste: «Ogni scuola dovrebbe avere lo psicologo». L’altra strada la dovrebbe tracciare il governo, dice la Cgil: «Non ci si può immaginare una scuola che non c’è. Servono competenze e risorse. O non si risolverà mai nulla».

È sempre più difficile il rapporto con i genitori, hanno perso la dimensione sociale della scuola, concentrat­i in modo esasperato solo sui propri figli

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Aldini Uno studente si è presentato con un «coltellacc­io»
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 ??  ?? Sofferenza La vita degli insegnanti non è certo rose e fioriSono cambiati i rapporti con studenti e genitori e sono poche le risorse
Sofferenza La vita degli insegnanti non è certo rose e fioriSono cambiati i rapporti con studenti e genitori e sono poche le risorse
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Luoghi Nella foto sopra l’Istituto AldiniVale­riani sotto l’Itc Rosa Luxemburg
 ??  ?? Solitudine Sempre più soli sono gli insegnanti delle nostre scuole
Solitudine Sempre più soli sono gli insegnanti delle nostre scuole

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