Corriere di Bologna

Sogno, paura e divertimen­to, la festa teatrale di «Thioro»

LO SPETTACOLO Il «Cappuccett­o Rosso senegalese» è un racconto che coinvolge tutti

- di Massimo Marino

Come tutte le favole fa sognare e fa venire la pelle d’oca dalla paura, per insegnare ai bambini a muoversi in quel bosco della psiche che è il mondo fuori dalla protezione della loro casa.

Thioro. Un Cappuccett­o rosso senegalese del Teatro della Albe è però soprattutt­o una festa teatrale, fatta di canto, simpatia, ritmo travolgent­e; è un racconto che coinvolge i bambini e i loro genitori, con danze che alla fine uniscono e scatenano tutto l’uditorio intorno all’immancabil­e lieto fine. È stata preparata con due straordina­ri attori-musicisti senegalesi, Fallou Diop e Adama Gueye, affiancati dalla tromba e dall’ironia di Simone Marzocchi, in una produzione con Accademia Perduta e con il senegalese Ker The´a^tre Mandiaye Ndiaye di Dioll Kadd.

Il Teatro delle Albe ha affrontato la questione delle migrazioni già alla fine degli anni 80 con spettacoli come Ruh. Romagna più Africa uguale, Siamo asini o pedanti, I 22 infortuni di Mor Arlecchino. Partiva dalla nuova presenza di venditori neri sulle spiagge per ricordare come la Romagna, geologicam­ente, fosse un pezzo di continente nero staccatosi e andato alla fino ad approdare sulla Pianura Padana. Gli stranieri che «invadevano» una terra troppo egoista a causa del benessere raggiunto erano fratelli che tornavano sulle loro zolle. Erano affermazio­ni provocator­ie, che servivano a contrastar­e con immaginazi­one i dilaganti pregiudizi. Marco Martinelli e compagni hanno creato spettacoli mederiva morabili con le Albe nere e le hanno aiutate a tornare in Africa a fondare nuove realtà sociali e artistiche.

Questo spettacolo è il frutto lontano del lavoro del com- pianto Mandiaye Ndiaye, colonna della compagnia ravennate per anni. Il figlio Moussa ne cura la produzione; Alessandro Argnani ne firma la regia.Il lavoro è stato attaccato da alcuni giornali che dichiarava­no incongrua e «buonista» l’operazione di spostare la fiaba nella savana africana, trasforman­do il lupo in una iena famelica e furbissima di nome Buky. «Cappuccett­o è una fiaba nordica, tedesca», hanno scritto, dimostrand­o ignoranza di quanto i motivi dei racconti orali si diffondano: di questa storia ne esistono perlomeno due versioni maggiori, con Perrault affianco ai Grimm, più una simile raccolta da Calvino; il mito di Edipo si ritrova in racconti che vanno dall’Asia all’Europa e così varie altre storie.

Pochissimo, poi, reggono gli scrupoli (filologici o razzisti?) di fronte a uno spettacolo che incanta, che trascina i bambini, nominandol­i tutti «Thioro», facendone i protagonis­ti, di volta in volta rapiti, intimoriti, divertiti, sollevati, di una meraviglio­sa avventura in un paesaggio lontano, risonante di colori e di suoni diversi da quelli che conosciamo. Di profumi che, come dice il narratore alla fine della storia, «odorano di paradiso».

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