L’ARMA IMPROPRIA DELLA FEDE
Tutte le indagini socio-religiose degli ultimi tempi segnalano una tendenza in campo cristiano: la creazione di una fede à la page, ovvero un «taglia e incolla» di quel o di chi a ciascuno più piace, per costruirsi il proprio vangelo e o il proprio catechismo a uso e consumo personale. Anche per la conquista del consenso elettorale.
Un esempio di ciò lo si è ben visto nella recente querelle tra la Lega e l’arcivescovo Zuppi, spunto il dibattito — mancato — tra lo stesso presule e la sottosegretaria Borgonzoni. Tema, la questione (calda) dei migranti. Eppure. Eppure non sarebbe fuori luogo rinfrescare un pizzico la memoria. Ovvero. Alla Lega bolognese che dice di preferire Biffi a Zuppi, l’arcivescovo «reo» di avere posizioni sulle migrazioni agli antipodi delle chiusure salviniane (bisognerà forse anche ricordare che l’inquilino di via Altabella è stato oltre 25 anni fa protagonista di un vero e autentico «aiutiamoli a casa loro» favorendo la pace nella guerra civile in Mozambico. E questo non è un altro capitolo, ma parte integrante della storia di Zuppi); orbene, agli esponenti del Carroccio, per i quali Zuppi è «di sinistra», si potrebbe obiettare che prima di Biffi venne un certo cardinale Giacomo Lercaro. Che forse non tutti ricordano avere assunto posizioni fortissimamente critiche in campo (anche) politico, con la sua denuncia dei bombardamenti americani in Vietnam.
Critiche che Lercaro pagò di persona con richiami vaticani di un certo peso. Lercaro quindi «comunista» e amico dell’Urss? Vien da sorridere, se la cosa non fosse molto seria, perché riguarda l’essenza di una fede purtroppo oggi brandita in piazza con rosari e vangeli, e così svilita. È l’esigenza stessa del cristianesimo, una fede che si è fatta storia, che chiede al credente (e Zuppi è la guida dei cattolici a Bologna) di farsi carico delle «gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini», per citare un testo del Concilio diventato celebre. Del resto, che alla Lega piaccia «giocare» al cristianesimo come con un puzzle lo raccontava alcuni anni fa un libro uscito a Bologna, Padroni a casa
nostra. Vent’anni di strategia religiosa della Lega Nord, pubblicato dalla Editrice missionaria italiana. L’autore Paolo Bertezzolo ripercorreva (nel 2011) le svariate «conversioni» del Carroccio. Dall’offensivo «Wojtylaccio» di Bossi quando papa Giovanni Paolo II si inventò una preghiera per la patria nel momento in cui più forte sembrava la spinta secessionista del partito padano, alle alleanze con Ruini sui «principi non negoziabili». Ma pure la non comprensione di un Ratzinger, usato come un randello («Il mio papa è Benedetto» sulle t-shirt di Salvini), pensando di integrare il mite pontefice nella crociata anti-islam. Fino, oggi, al rifiuto ostentato della predicazione bergogliana, ferma e mite nel ricordare le esigenze scomode e politicamente poco redditizie del vangelo. Zuppi non ha certo bisogno di avvocati né di apologie. È forse la verità delle cose che va sussurrata a chi usa e abusa in chiave politica la dimensione religiosa. La fede cristiana riguarda intrinsecamente il diseredato e il povero, perché il suo Fondatore si è fatto diseredato e povero su una croce. Punto. E a chi lo ricorda oggi, scorgendo Cristo nei migranti che lasciano l’Africa, non andrebbero lanciati strali propagandistici né mosse sterili accuse. Forse meriterebbe dare invece ascolto a chi richiama alla propria responsabilità coloro, e siamo noi, che più dalla vita e dalla sorte hanno avuto.