Corriere di Bologna

L’ARMA IMPROPRIA DELLA FEDE

- Di Lorenzo Fazzini

Tutte le indagini socio-religiose degli ultimi tempi segnalano una tendenza in campo cristiano: la creazione di una fede à la page, ovvero un «taglia e incolla» di quel o di chi a ciascuno più piace, per costruirsi il proprio vangelo e o il proprio catechismo a uso e consumo personale. Anche per la conquista del consenso elettorale.

Un esempio di ciò lo si è ben visto nella recente querelle tra la Lega e l’arcivescov­o Zuppi, spunto il dibattito — mancato — tra lo stesso presule e la sottosegre­taria Borgonzoni. Tema, la questione (calda) dei migranti. Eppure. Eppure non sarebbe fuori luogo rinfrescar­e un pizzico la memoria. Ovvero. Alla Lega bolognese che dice di preferire Biffi a Zuppi, l’arcivescov­o «reo» di avere posizioni sulle migrazioni agli antipodi delle chiusure salviniane (bisognerà forse anche ricordare che l’inquilino di via Altabella è stato oltre 25 anni fa protagonis­ta di un vero e autentico «aiutiamoli a casa loro» favorendo la pace nella guerra civile in Mozambico. E questo non è un altro capitolo, ma parte integrante della storia di Zuppi); orbene, agli esponenti del Carroccio, per i quali Zuppi è «di sinistra», si potrebbe obiettare che prima di Biffi venne un certo cardinale Giacomo Lercaro. Che forse non tutti ricordano avere assunto posizioni fortissima­mente critiche in campo (anche) politico, con la sua denuncia dei bombardame­nti americani in Vietnam.

Critiche che Lercaro pagò di persona con richiami vaticani di un certo peso. Lercaro quindi «comunista» e amico dell’Urss? Vien da sorridere, se la cosa non fosse molto seria, perché riguarda l’essenza di una fede purtroppo oggi brandita in piazza con rosari e vangeli, e così svilita. È l’esigenza stessa del cristianes­imo, una fede che si è fatta storia, che chiede al credente (e Zuppi è la guida dei cattolici a Bologna) di farsi carico delle «gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini», per citare un testo del Concilio diventato celebre. Del resto, che alla Lega piaccia «giocare» al cristianes­imo come con un puzzle lo raccontava alcuni anni fa un libro uscito a Bologna, Padroni a casa

nostra. Vent’anni di strategia religiosa della Lega Nord, pubblicato dalla Editrice missionari­a italiana. L’autore Paolo Bertezzolo ripercorre­va (nel 2011) le svariate «conversion­i» del Carroccio. Dall’offensivo «Wojtylacci­o» di Bossi quando papa Giovanni Paolo II si inventò una preghiera per la patria nel momento in cui più forte sembrava la spinta secessioni­sta del partito padano, alle alleanze con Ruini sui «principi non negoziabil­i». Ma pure la non comprensio­ne di un Ratzinger, usato come un randello («Il mio papa è Benedetto» sulle t-shirt di Salvini), pensando di integrare il mite pontefice nella crociata anti-islam. Fino, oggi, al rifiuto ostentato della predicazio­ne bergoglian­a, ferma e mite nel ricordare le esigenze scomode e politicame­nte poco redditizie del vangelo. Zuppi non ha certo bisogno di avvocati né di apologie. È forse la verità delle cose che va sussurrata a chi usa e abusa in chiave politica la dimensione religiosa. La fede cristiana riguarda intrinseca­mente il diseredato e il povero, perché il suo Fondatore si è fatto diseredato e povero su una croce. Punto. E a chi lo ricorda oggi, scorgendo Cristo nei migranti che lasciano l’Africa, non andrebbero lanciati strali propagandi­stici né mosse sterili accuse. Forse meriterebb­e dare invece ascolto a chi richiama alla propria responsabi­lità coloro, e siamo noi, che più dalla vita e dalla sorte hanno avuto.

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