Sul gigante tra auto e paure
Viaggio a bordo di un Tir da Padova a Bologna «L’angoscia dopo il rogo dell’A14». Le macchine come insetti. «Il destino in una frenata»
– AUTOSTRADA PADOVA BOLOGNA Pesiamo 260 quintali, andiamo a 85 all’ora e il traffico è scorrevole. A tre metri da terra le macchine si offrono a una prospettiva insolita, si vedono le gambe degli automobilisti, l’eventuale telefonino che hanno in mano, da quello che c’è sul sedile accanto si può capire professione, indole del guidatore, anche possibili distrazioni. Il punto di vista del camionista è quello del trampoliere, le automobili somigliano a insetti dispettosi, ti sgusciano da tutte le parti. Igor, il mio, non le perde di vista, ma sono i camion che lo preoccupano. Ha 46 anni, da 25 guida il tir e la patente ce l’ha da quando faceva il militare a Palmanova. «Finita la leva obbligatoria, finiti anche gli autisti, allora non era difficile assumere, i ragazzi tornavano dalla naia e avevano un mestiere e sapevano guidare il camion».
È grazie alla sua cortesia che siamo a bordo. La bestia è un Mercedes 2541, ha 410 cavalli e consuma cinque litri di gasolio ogni 100 chilometri. Davanti a noi c’è un triassi carico, «si vede che lo è dal terzo treno di ruote che, come vedi, tocca terra: se fosse scarico sarebbero sollevate». Dettagli, indizi insignificanti per un normale automobilista, vitali elementi di valutazione per chi si trova alla guida di un camion.
Già salirci ci è parsa un’avventura, devi arrampicarti su quattro predellini attaccato ai maniglioni della cabina. Per scendere l’operazione avviene all’incontrario, fronte parete, come in roccia. Da quassù la differenza si apprezza. Siamo giganti su una striscia di terra fatta per i nani, cavalieri aggregati per un giorno a quell’antica schiatta dal dna solidale, generoso e irascibile, i camionisti. Una volta il «girabachin», strumento indispensabile per cambiare le gomme ce l’avevano sempre a portata di mano, per le ruote e, all’occorrenza, per risolvere eventuali dispute personali. Col tempo l’antico mestiere dell’andare per strada s’è ingentilito, ma ne restano i caratteri: sovranità, orgoglio e lo spirito di appartenenza.
Il traffico scorre uguale e ipnotico, sembra di guardare Carosello, le auto veloci sulla sinistra, il fronte immobile del sedere di un altro camion di fronte. È quello che bisogna guardare. «E quello dietro. Lo vedi?». No, non lo vedo. «Guarda l’ombra». Sul retrovisore di destra proiettata dal sole si staglia per terra l’ombra di un cassone che non è il nostro, «troppo vicino, dovrebbe stare più distante».
Poi ci sono le immagini che stanno dietro la retina, quelle dello schianto di Borgo Panigale che tornano e si sovrappongono all’ordinato scorrere delle auto, i sette minuti di falsa tregua che ne sono seguiti e l’altra, immensa, dell’esplosione. «Doppia sfortuna, il tamponato trasportava materiale infiammabile, l’altro Gpl». Però è questo che vedono tutti gli autotrasportatori in questi giorni, quello che temono, quello che sanno da sempre.
A bordo si «smadonna» naturalmente, imprecando all’incompetenza altrui, negando la propria e ingrandendo quella degli altri. Sul camion, tuttavia, i moccoli che escono sono formulati in modo circostanziato, professionalmente motivati. «Lo vedi quello che si sta immettendo adesso, ha la corsia di accelerazione a sua disposizione, l’hanno chiamata così per questo, ma come vedi non accelera». Siamo allo svincolo di Ferrara sud, direzione Bologna, l’automobilista che vuole entrare in autostrada lo fa come fosse tutta sua, costringendo il camion davanti a spostarsi bruscamente al centro della carreggiata.
Si vede che l’autista tentenna indeciso se frenare o spostarsi, all’ultimo istante opta per il centro strada mentre altre macchine arrivano. «È andata bene, ma quello il suo piccolo numero ha dovuto farlo, chi veniva da dietro poteva spaventarsi, frenare e scatenare guai a catena». «La colpa non è neanche tutta dell’automobilista», dice Igor salomonico. «Il fatto è che la PadovaBologna è vecchia, ancora a due corsie, costruita con piste di accelerazione così corte che bisogna avere il piede coraggioso per uscirne con la velocità giusta. Li vedi quei New Jersey? Sono convinto che sono di burro, se ci vado addosso
Il trucco dell’ombra
Sul retrovisore di destra proiettata dal sole si staglia per terra l’ombra di un cassone che non è il nostro, «troppo vicino, dovrebbe stare più distante», sentenzia Igor
” La PadovaBologna è vecchia, ancora a due corsie, costruita con piste di accelerazione corte
salto sull’altra corsia come un uccello». Igor, il nostro Virgilio, fa Sartori di cognome, gestisce una piccola azienda di due mezzi ed è un «padroncino» si sarebbe detto uno volta. «L’ho visto uno di questi terribili incidenti. Avevo un collega davanti, l’automobilista che lo stava sorpassando stava per addormentarsi, l’ho visto scartare lentamente verso la ruota posteriore del camion, ricevere il colpo e finire stritolato sul guard rail. La reazione istintiva è frenare ed è la peggiore cosa che si possa fare. Ho superato e sono sceso a prestare soccorso. Mi tremavano le gambe».
Camion, camion e camion. Sembrano tutti uguali, «però guarda quello, insegna gialla 331203, porta benzina ed è una bomba innescata». All’ingresso dell’A1 ce n’è uno fermo sulla corsia di accelerazione. «Il sorpasso è vietato, ci levano la patente se lo facciamo nei tratti non consentiti, si può fare solo per agevolare l’ingresso in autostrada di qualcun altro, come in questo caso, ma quello era fermo». Sono le sette di sera e ci siamo: il buco nero aperto sulla corsia di destra dell’A14 a Borgo Panigale è una bocca senza denti, Igor rallenta a 60. «Qui lo fanno tutti».
” Li vedi quei New Jersey? Sono convinto che sono di burro, se ci vado addosso salto sull’altra corsia come un uccello