Corriere di Bologna

Il caporalato del Nord in doppiopett­o

La Cgil stima in 10.000 i lavoratori a rischio. Nel mirino allevament­i e vendemmia

- Alessandra Testa © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

In Emilia-Romagna, che è la regione con la quota più consistent­e di superficie coltivate a pomodoro da industria e dove la raccolta avviene quasi interament­e con mezzi meccanici, la filiera dell’oro rosso sembra essere «salva» dal fenomeno del caporalato. Qui esiste però un caporalato diverso, fatto di consulenti del lavoro in giacca e cravatta che gestiscono la catena di subappalti che sfrutta 10.000 lavoratori impiegati in macelli, allevament­i e vendemmia.

Il comparto del pomodoro non è l’unico ad essere interessat­o dalla piaga economica e sociale del caporalato. Paradossal­mente, nella nostra regione, dove la raccolta avviene quasi interament­e con mezzi meccanici, è il meno toccato dal fenomeno. L’Emilia-Romagna piuttosto è la terra del cosiddetto nuovo caporalato, «una filiera di consulenti del lavoro in giacca e cravatta che gestisce ingegneris­tica mente le responsabi­lità delle imprese che si affidano ad una catena di appalti e subappalti apparentem­ente regolare». La denuncia arriva dal segretario generale della Flai-Cgil, Umberto Franciosi, che ieri sera ha partecipat­o, assieme ad altri rappresent­anti del sindacato regionale alla marcia di solidariet­à ai familiari dei sedici braccianti deceduti nei due incidenti stradali avvenuti nei giorni scorsi nella provincia di Foggia e che si è svolta nel capoluogo pugliese. Diversi i settori dell’ agroalimen­tare coinvolti da quello che Francio si chiama nuovo caporalato: caseifici, allevament­i avicoli, la macellazio­ne delle carni e la raccolta della frutta. A cui si aggiunge tutta la logistica collateral­e, e quindi i trasporti, «vera polveriera» del reclutamen­to irregolare di manodopera. Le province più colpite sono quelle di Modena, Reggio Emilia, Forlì-Cesena e Rimini come confermano anche le recenti inchieste della Guardia di Finanza. Franciosi fa una stima di oltre 10.000 lavoratori coinvolti sul territorio emiliano-romagnolo; di essi ben 1.500 sono concentrat­i nella provincia di Modena. «A peggiorare una situazione che denunciamo da anni — prosegue Franciosi — è stata la depenalizz­azione del reato di somministr­azione irregolare di manodopera attuata dal governo Renzi e che di fatto punisce le imprese con una banale sanzione amministra­tiva». Fortunatam­ente, sulla spinta delle tante rivolte di braccianti e lavoratori sfruttati, nel 2016 è stata approvata la legge 199 per il contrasto ai fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamen­to in agricoltur­a che prevede anche una regolament­azione del livello retribuivo dei lavoratori. Il decreto dignità appena convertito in legge ha ripristina­to poi il reato di somministr­azione fraudolent­a di manodopera, ma ha lasciato depenalizz­ate le ammende, «sanzionand­o maggiormen­te il singolo lavoratore rispetto al committent­e». In Emilia-Romagna — conclude Franciosi — non si registrano le «paghe da fame» denunciate al Sud, ma «i 4/5 euro del nostro territorio e il rischio di scivolare nel lavoro nero non sono certo da sottovalut­are».

A parte qualche piccola sacca di irregolari­tà, insomma, il pomodoro nostrano dovrebbe essere «salvo». Questi i numeri diffusi dall’organizzaz­ione OI Pomodoro da industria del Nord Italia: l’Emilia-Romagna è la regione con la quota più consistent­e di superfici coltivate a pomodoro da industria con una quota di 24.140 ettari. Questa la classifica delle province: Piacenza 9.962 ettari, Ferrara 5.703, Parma 4.293, Ravenna 2.019, Reggio Emilia 1.004e Modena 763.

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24.140 ettari L’EmiliaRoma­gna è la regione con la quota più consistent­e di superfici coltivate a pomodoro da industria

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