Brucia la «casa» degli africani
Momenti di tensione in via Stalingrado all’arrivo dei pompieri. Rogo accidentale
Il cancello socchiuso, il nome dell’associazione, El Ihsan, scritto con la vernice bianca e dentro tutto un mondo, poco distante dall’ingresso della tangenziale. Una realtà quella del casolare di via Stalingrado 75 emersa dopo l’incendio di venerdì sera: un mozzicone di una sigaretta che brucia, le fiamme all’interno della casetta dei custodi, 40 metri quadrati, l’intervento non semplice dei vigili del fuoco. Momenti di tensione fino all’arrivo dei carabinieri.
Il cancello socchiuso, il nome dell’associazione, El Ihsan, scritto con la vernice bianca e dentro tutto un mondo, poco distante dall’ingresso della tangenziale. Una realtà quella del casolare di via Stalingrado 75 emersa dopo l’incendio di venerdì sera: un mozzicone di una sigaretta che brucia, le fiamme all’interno della casetta dei custodi, 40 metri quadrati, l’intervento dei vigili del fuoco. Un intervento non semplice visto il corri corri e gli animi agitati di una ventina di persone, tutte di origine africana, che si sono scagliate contro i pompieri. Solo l’intervento dei carabinieri ha riportato la calma. Così i pompieri hanno potuto lavorare in sicurezza e spegnere il rogo. La struttura è agibile e sulle cause dell’incendio non sembrano esserci dubbi: una distrazione.
Quel casolare, privato della Stalingrado s.r.l, è stato dato in comodato d’uso all’associazione El Ihsan che lo gestisce da quattro anni e da allora quel fazzoletto di terra, tra due case enormi, elettrodomestici abbandonati e rottami di auto, è attraversato tutti i giorni da una sessantina di stranieri, tutti africani: richiedenti asilo, destinatari di protezione internazionale umanitaria, e gente che vive in strada. «La nostra associazione — spiega il presidente nigeriano Nasiru — è da anni attiva per il recupero degli spazi e per questo collaboriamo con il Comune
” Non vorremmo che questo episodio vanificasse quello che abbiamo fatto fin qui
per fare alcuni lavoretti di decoro urbano. Qui, per esempio, abbiamo ripulito tutta la zona. Quello che è successo ci ha impauriti: non vorremmo che quest’episodio possa vanificare quello che abbiamo fatto fin qui». Patti di collaborazione confermati anche dal Comune per cui, però, «non ci sono mai stati finanziamenti. Ci siamo sempre autorganizzati. Certo, se ci venisse offerto un aiuto non lo rifiuteremmo». Ieri c’è stato un nuovo sopralluogo dei pompieri e della Municipale. «Non siamo una struttura che accoglie richiedenti asilo. Siamo un’associazione di volontari che lavora con chi ha trovato difficoltà a integrarsi. Per esempio cerchiamo di togliere dalle maglie del malaffare chi spaccia in Montagnola. L’altro giorno siamo andati nel parco e abbiamo invitato i ragazzi a frequentarci». Un impegno che Nasiru ha deciso di portare avanti per la propria esperienza: «Sono arrivato a Bologna 24 anni fa — spiega — e i primi due sono stati tremendi. Per questo ho pensato a un’associazione che possa essere una sorta di porto sicuro per chi un posto fisso non lo ha». Lui oggi fa il contadino, ha due figli e la sua famiglia, dice con fierezza, «è italiana. Abbiamo la cittadinanza».
A colpo d’occhio il casolare in via Stalingrado sembra un’officina a cielo aperto, con qualche gallina che di tanto in tanto zampetta tra una trentina di ragazzi di colore. E su questo Nasiru precisa: «Le bici e i rottami di auto vengono riparati nell’officina in cui a turno lavorano i ragazzi. Stiamo sempre molto attenti».