Lolli, memorie bolognesi
Domani la camera ardente allestita a Palazzo D’Accursio per il cantautore scomparso Il ricordo di un tempo che non c’è più. Guccini: «Onestissimo, anche con se stesso. Era uno dei più grandi»
«Claudio Lolli è vivo, e muore insieme a noi». Il titolo che gli sarebbe piaciuto di più — scusate, probabilmente — è di Popoff, quotidiano on line. Il cantautore se ne è andato venerdì nella sua casa di via Indipendenza. Domani la camera ardente è allestita (dalle 15 alle 18) nella Sala Tassinari di Palazzo d’Accursio. Ma il ricordo più sincero, completo è di chi da Bologna se ne sta sempre più lontano, Francesco Guccini: «Non posso dire che ero suo amico. Forse solo Roberto Serra, il fotografo, ha fatto le copertine di tanti di noi. Claudio gli dedicò La fotografia sportiva, ovviamente senza dirlo… Era ombroso, chiuso, battibeccava persino con il pubblico. Onestissimo anche con se stesso, da farsi male. Era un grande, uno dei più grandi della musica d’autore. Varie sue cose sono meglio delle mie».
E Stefano Benni, scrittore, poeta, disegnatore, attore, «ti sembra il tempo di parlare di anima?». Regista, anche lui grande umbratile, per Lolli ha scritto una dei tanti meravigliosi insuccessi, 1988: «L’ho conosciuto quando la sua Piazza, bella piazza era la sigla del notiziario di Radio Città. C’erano cinque milioni di debiti da pagare entro una settimana o si chiudeva. Chiedemmo il sostegno di un concerto gratis a vari artisti, bolognesi e no. Si dileguarono tutti con le scuse più varie: uno disse che per lui “ci volevano trecento persone di servizio d’ordine”. Adesso si accontenterebbe di trecento spettatori. Telefonammo a Lolli e lui disse “va bene”. Quando puoi?. “Quando volete voi”. Due giorni dopo ci fu il concerto. Riuscitissimo. La radio fu salva. Per Claudio era tutto naturale, era sinceramente
” Merola Ha incarnato un momento della storia della città: quegli zingari felici che esprimevan o la sincera ricerca di una società e di una felicità altra Ma voglio ricordarlo per tutta la sua arte
stupito mentre tutti lo ringraziavano».
Andrea Pazienza gli ha disegnato la copertina di Antipatici Antipodi. «È venuto a casa mia, — raccontava Lolli — si è bevuto una bottiglia di grappa. Parlava di un nazista con i guanti bianchi. Non capivo, era il regalo che mi stava preparando. Il retrocopertina è un puzzle di mie caricature».
Con Freak Antoni da ragazzi abitavano nella stessa strada. Si guardavano dalle due parti della strada e facevano la sfida all’Ok Corral. Sparavano invenzioni. «Tanto a Bologna conta più Salieri di Mozart». Parlavano di politica, non di loro. Poi, con Freak e gli Skiantos, Claudio Lolli cantò Angolo B (leggetelo all’incontrario: Bologna) sulla città «rossa di vergogna»: il testo non è nemmeno su Google. Grandi Vecchi. Dimenticati. Morti. Claudio Lolli però qualcuno può anche ricordarlo come professore. «Più a sinistra di me» dice il Maestrone Guccini di Eskimo e La locomotiva. Uno dell’impossibile La ballata del Pinelli. Che rispettava e non mollava. «Non andiamo più a funerali. Il tempo cambia. Amare e lot- tare esisteranno sempre».
Ora giustamente lo ricordano sindaci, assessori, istituzioni. Per Merola «ha incarnato un momento della storia della nostra città: quegli zingari felici che esprimevano la sincera ricerca di una società e di una felicità altra». Ma vuole ricordarlo per «tutta la sua arte», si stringe alla famiglia e a chi l’ha amato. Così il cordoglio di Lepore, Mezzetti, Saliera. Dicono che lui amava Bologna. A suo modo, tantissimo. Non ha mai conosciuto un politico vagamente di successo.
Severo e gentile: chiedetelo agli studenti del Liceo Da Vinci di Casalecchio. Riempirono il Palazzo dello Sport a un suo concerto. «Occhio che domani vi interrogo» disse dal palco. Umberto Eco e Franco La Polla, suo dirimpettaio, grande esperto di cinema americano, moglie bella come la sua, volevano portarlo a insegnare al Dams; lui sfuggiva: «Voglio i miei ragazzi che vedo crescere anno per anno». Con La Polla scherzava: «Vediamo chi ha il cuore più matto». È volato via prima il cinematografaro, per altro suonava benissimo la chitarra in privato. Con Lolli. Che ha inciso il suo ultimo disco in casa, con il busto. Non poteva più uscire da tempo. Anche un femore era diventato “matto”.
«Conobbi Lolli da studentessa. — racconta Raffaella Zuccari, moglie di Guccini, laurea con Ezio Raimondi, insegnante nell’Alto Reno attraversato dalla crisi — Me lo presentò il professor Alberto Bertoni che all’università mi aveva dato da recensire i libri di Lolli, da L’inseguitore Peter H., il primo. Mi colpirono sia l’attenzione che diede ai miei giudizi, sia la voce calma, piena di tenerezza. So che era un insegnante molto amato».
Il primo racconto di Lolli scrittore avvenne con la stessa casa editrice con cui esordì Pier Vittorio Tondelli. Francesco Guccini ha scritto la prefazione alla riedizione Feltrinelli de Giochi Crudeli. «Me lo presentò mio fratello Pietro, all’Osteria delle Dame. — racconta il Maestrone — Collaboravano, erano ragazzi, bravi musicisti. Pietro lavorò anche con me. Fui io nel 1972 a presentare Claudio alla Emi. Piacque. Impose un prezzo politico ai suoi dischi. Voleva che tutti gli orchestrali fossero pagati come lui». «Durò quanto durò» chiosa il fotografo Serra. Renzo Fantini, manager di Guccini e Paolo Conte, destro divertentissimo, curò il rossissimo Lolli. «Fra il vento dagli occhi verdi scherzano gli angeli curiosi mentre vicino a una Ferrari colorata di rosso un pilota …» gli ha scritto per Formula 1 Roberto Roversi. Il poeta che condivise versi e canzoni con Pasolini e Lucio Dalla. E che alla trattoria da Vito se ne stava in un angolo a chiacchierare con Claudio Lolli mentre i ragazzi urlavano «Lucio, Francesco».