LO STOP E LE COLPE DI IERI
Troppo comodo prendersela ora con il governo giallo-verde per lo stop al Passante. Lo possono fare i cittadini e le categorie economiche che lo hanno chiesto con forza per anni, accettando di volta in volta anche soluzioni di compromesso purché qualcosa si facesse per allentare almeno un po’ la morsa del traffico su Bologna. Ma i partiti che per oltre due decenni hanno rinviato una scelta concreta, assumendo infine una decisione quando ormai il vento politico del Paese stava cambiando, loro no, non possono lanciare accuse. Si fossero mossi con maggiore tempestività, i cantieri sarebbero già aperti, per non dire che l’opera sarebbe potuta esser finita da un pezzo. Invece hanno dato il via libera quando ormai sentivano sul collo il fiato di Lega e Cinque Stelle che, peraltro, seppur con prospettive diverse, hanno sempre osteggiato il Passante: logico, anzi coerente per loro bloccare tutto.
Olivio Romanini, ripercorrendo sulle nostre pagine l’odissea del progetto, sabato ha giustamente parlato di gioco dell’oca: perché l’idea del Passante Sud, appena rilanciata dal vicepremier Matteo Salvini, è stata la prima casella da cui si è partiti quasi vent’anni fa, esattamente nel 1999.
La proposta era di Giovanni Salizzoni, vicesindaco di Giorgio Guazzaloca: quando la lanciò, tra l’altro, della necessità di decongestionare l’autostrada si dibatteva da qualche anno.Ora, dunque, si torna da capo.
Il governo legapentastellato, a differenza di chi lo ha preceduto, può in qualche modo invocare di essere arrivato solo adesso nella stanza dei bottoni, sebbene il Carroccio in passato abbia avuto fior di ministri. Dopo oltre quattro lustri di rinvii, oggi non si può chiedere ai leghisti e ai grillini di ingoiare il rospo, rimangiandosi le battaglie fatte. O, meglio, gli unici a poterlo auspicare sono appunto i cittadini e le categorie economiche stanche di aspettare il verbo del Palazzo e di pagare il prezzo (non solo economico) delle tattiche dilatorie. Purtroppo, per il mondo politico italiano, in genere il fattore tempo è un illustre sconosciuto. Una delle principali ragioni per le quali il Palazzo gode di cattiva fama, oltre alla corruzione, è infatti l’inconcludenza. Le decisioni vengono rimandate di riunione in riunione, così quando (e se) vengono prese risultano già obsolete o fuori dal tempo. Per ogni questione, la parola d’ordine è «apriamo un tavolo», il che significa che i vari interlocutori coinvolti in una scelta si siedono, parlano, parlano e parlano, quindi aggiornano i lavori a una data più o meno lontana. E, ovviamente, occorrono nuovi approfondimenti, analisi, consultazioni e vertici vari che allungano il brodo. Tutto serve per non prendere in mano la patata bollente e lasciare che a scottarsi sia qualcun altro. Nella migliore delle ipotesi, la speranza è che il tempo lenisca le ferite e smussi gli angoli, mentre spesso accade esattamente l’opposto: le posizioni si radicalizzano e le ruggini aumentano.
Ma soprattutto i problemi si incancreniscono. Perché, per tornare al Passante, si può pure sognare che il traffico su gomma sia destinato a calare, ma l’esperienza indica esattamente l’opposto: per avere una conferma, interrogate i corrieri che consegnano le merci ordinate online. Oppure chiedete al sindaco di New York che ha bloccato Uber per liberare la città da un po’ di auto, poiché la «rivoluzione digitale» ha aumentano gli spostamenti dei cittadini anziché ridurli come si era fantasticato. Prima o poi, insomma, la realtà bussa sempre alla porta. E a Bologna lo sta facendo da tempo, ahinoi inutilmente.