«Arrivano, avvisa la coop»
Le conversazioni tra il prefetto Impresa e il suo vice a Padova: la preoccupazione di avvisare le coop
Nuove intercettazioni su Patrizia Impresa quando era a Padova.
Le soffiate ai vertici di PADOVA Ecofficina per avvisare dell’imminente ispezione dell’Usl: «Una prassi». I numeri di migranti da concordare assieme (al ribasso) in occasione della visita del ministro a Bagnoli di Sopra, a Padova: «Sono 900 ad oggi ma non possiamo assolutamente darglielo», le parole dell’allora prefetto di Padova, Patrizia Impresa, con il suo vice prefetto vicario (ora ex) Paquale Aversa finito indagato. E le sistemazioni emergenziali che, sempre dalla prefettura, avrebbero cercato di mascherare. Dai numeri di profughi ospitati riportati sui report «da far venire i brividi», alla situazione nelle strutture («sono praticamente uno addosso all’altro» le parole di Aversa in riferimento a Bagnoli), con i migranti sistemati anche in cucina e in promiscuità se necessario, ai wc chimici piazzati in quattro e quattr’otto per le ispezioni, a quanto pare nemmeno ancorati al terreno, «messi lì per fare una sceneggiata» ancora le parole di Aversa.
Non si placa la polemica sui funzionari prefettizi intercettati dai carabinieri e finiti nell’inchiesta coordinata dal pm di Padova Matteo Stuccilli e dalla sua sostituta Federica Baccaglini. Sotto la lente i legami che negli ultimi anni avrebbero favorito l’ascesa della coop Ecofficina nel settore dell’accoglienza profughi. Tra i sette indagati compaiono infatti i nomi di Aversa e dell’ex funzionaria Tiziana Quintario, ora a Bologna. Registrata al telefono (ma non indagata) l’attuale prefetto di Bologna Impresa, all’epoca a Padova. Che, stando alle intercettazioni, saputo dall’allora comandante dei carabinieri (era dicembre 2016) che i militari sarebbero andati al centro di Bagnoli per verificare le condizioni di struttura ed occupanti, avrebbe detto al suo vice di avvisare Simone Borile, patron di Ecofficina, indagato con la moglie e un amministratore. Impresa, che non è indagata, parlando con il suo vicario, avrebbe detto: «Vuoi avvisare .... ». Aversa le avrebbe risposto: «Ecofficina...Lo devo avvisare», riferendosi a Borile. «Eh, io direi di sì! — la replica di Impresa — Questi stanno arrivando, se non è già arrivata una squadra di agenti speciali... quelli del lavoro». Impresa parlando con il suo braccio destro si dice preoccupata: «Noi là siamo in difficoltà, sono i numeri». Numeri di un innegabile sovraffollamento.
Solo una delle tante anomalie assieme a carenza di organico, 10 operatori che arrivavano anche a 50 per le ispezioni, firme sui fogli presenza fatti al posto dei migranti, rischio malattie e prostituzione. Stando a quanto emerso la gestione dei dipendenti della coop viene definita «disumana».
Ma a sentire il ministro dell’interno Matteo Salvini i cpt gestiti dalla coop patavina hanno vita breve. Ha infatti annunciato che il centro di Cona «sarà progressivamente svuotato» ed è prevista la cessazione «di Bagnoli». Soddisfatto il presidente del Veneto, Luca Zaia: «Finalmente qualcuno mette il coperchio a quel bidone di illegalità che era ed è il business dei finti profughi». Business dietro cui ci sarebbero stati i coniugi Borile che, secondo gli investigatori, avrebbero avuto «un insolito e intenso» traffico telefonico «a tre» con Aversa, delegato alla gestione dell’emergenza profughi. Per non parlare del rapporto «di confidenza/fiducia reciproca» di Borile con il funzionario della prefettura patavina, Tiziana Quintario.
Quest’ultima, poi trasferita a Bologna, sarebbe stata consapevole che ad effettuare i lavori di manutenzione di Bagnoli, alla «Prandina» di Padova, nei centri di Cona e Oderzo, era il fratello del capo di Ecofficina, Cristian Borile, architetto e titolare dell’impresa «Habitat» (non è indagato) con cui Quintario aveva anche contatti diretti. Insomma, affari di famiglia: la coop che gestiva i centri e la ditta che effettuava i lavori in quei centri. Tanto che Habitat in otto mesi, tra 2015 e 2016, ha emesso fatture per oltre 110mila euro. Ma dalla prefettura nessuno avrebbe battuto ciglio, per quanto l’affidamento dei lavori ad un parente potesse essere inopportuno. Rimaneva in famiglia, secondo le indagini, anche l’acquisto dei farmaci per i profughi da parte della coop. Borile, stando alle intercettazioni, le acquistava attraverso la cognata, che lavorava in una parafarmacia.