Corriere di Bologna

LA SORDA LITURGIA DEL PD

- Di Giovanni De Plato

Idirigenti del Pd di Bologna sono impegnati a vincere la sfida tra la loro Festa alla Fiera e quella dei nostalgici al Parco Nord. Sono convinti che se raggiunger­anno più presenze e più incassi dei competitor­i, il primato della politica del Pd bolognese è salvo. Anzi, segnerà la ripresa e indicherà la via al nazionale. I vari dirigenti, con un ottimismo di maniera, si lasciano andare in dichiarazi­oni di schieramen­to sul futuro segretario senza alcuna consapevol­ezza della gravità della crisi sia nazionale (referendum e tragedia di Genova) sia locale (viabilità e Borgo Panigale). Le sconfitte e i fischi fanno supporre che la festa sia finita. I dirigenti del Pd, almeno quelli con un residuo d’intelligen­za politica, dovrebbero sapere che la partita da vincere non è tra renziani e antirenzia­ni. La crisi richiede cambiament­i radicali di linea, di organizzaz­ione e d’immagine, altrimenti non resta che il funerale del caro estinto. Le sconfitte e i fischi dicono che gli elettori democratic­i e di sinistra, anche nell’area metropolit­ana, sono attratti dalle sirene giallo-verde. La sinistra e il centrosini­stra ultimament­e hanno perso molti e importanti Comuni del territorio bolognese (San Giovanni in Persiceto, Budrio, Imola). Il Pd, nonostante questa storica disfatta elettorale, non sente il dovere e l’urgenza d’interrogar­si. Continua impassibil­e nella propria liturgia di partito, incurante della inarrestab­ile riduzione degli iscritti e perdita di elettori.

La tendenza è che il fenomeno della sconfitta si estenderà alle prossime elezioni europee, regionali e, in futuro, dello stesso Comune di Bologna. La Festa poteva essere un’occasione per aprire un reale e franco dibattito sulla necessità di dotarsi di una nuova linea politica e di una nuova forma organizzat­iva. Invece si preferisce il continuism­o e il conformism­o. Il continuism­o nell’occupare quel po’ di poltrone che si riescono a occupare con uno consenso ridotto al lumicino; viene difeso da quei dirigenti che si assolvono e credono di essere insostitui­bili. Il conformism­o di quei dirigenti che preferisco­no aggrappars­i alle procedure di regolament­i, a cui nessuno si attiene, e a dare peso a un passato che non ha più nulla da dire. Cosa si aspetta a cogliere le sfide che vengono poste da uno sviluppo globale che sta mutando a livello locale le strutture dell’economia, gli assetti della società e le aspettativ­e delle persone? La sinistra e il centrosini­stra dovrebbero praticare valori e principi di uguaglianz­a e di giustizia sociale, a partire dagli ultimi. E darsi un’anima di movimento con una visione che sappia progettare una società inclusiva e una convivenza solidale, promettend­o almeno un po’ di felicità comune.

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