Corriere di Bologna

FIABE DA GRANDI IL RITORNO IN CARCERE

- Massimo Marino

La compagnia del Pratello diretta da Paolo Billi torna tra le sua mura, stasera, con «Bellinda e Bestia» un nuovo spettacolo di teatro/danza tratto da versioni della favola di Apuleio «Amore e Psiche». Sul palco ragazzi sottoposti a misure restrittiv­e, minori del sistema Sprar e studenti

Torna il teatro nell’Istituto penale minorile di via del Pratello. Il carcere aveva visto la presentazi­one di uno spettacolo all’anno dal 1999 al 2014. Paolo Billi e la sua compagnia, denominata appunto Teatro del Pratello, avevano aperto le mura a un totale di 1.400 spettatori creando spettacoli fantasiosi e pieni di spunti di riflession­e con ragazzi detenuti e giovani attori o studenti, con anziani e con altri innesti.

Dal 2015 le rappresent­azioni erano state sospese, togliendo un’importante occasione di incontro tra il mondo dei giovani reclusi e la città. Da stasera all’8 settembre, alle 21, si apriranno di nuovo le porte del carcere per ospitare Bellinda e Bestia, una nuova creazione, sempre con la regia di Billi.

Si succederan­no due compagnie: stasera e domani quella formata da una decina di ragazzi ristretti nel carcere insieme a due studentess­e del Laura Bassi e a due attrici di Botteghe Molière; il 7 e l’8 andranno in scena ragazzi in carico a istituti dell’area penale esterna al carcere, provenient­i da vari luoghi della Romagna, con le due attrici e, per la prima volta, con due minori stranieri non accompagna­ti, uno provenient­e dal Centro Africa, l’altra dal Marocco.La storia rappresent­ata è arcinota: è quella che Calvino ha raccolto nelle sue Fiabe italiane come Bellinda e il Mostro, narrata sulla montagna pistoiese, ma presente in molte varianti in differenti tradizioni e basata sull’archetipo della favola di Amore e Psiche dell’Asino d’oro di Apuleio. Una storia che ha trovato varie volte la via dello schermo, fino a Walt Disney.

«Ma da questa versione ci siamo tenuti lontani», precisa il regista (e spiegherà alla fine perché). «Torniamo nel carcere, e in particolar­e nella zona verde appena restaurata, all’aperto. Non credo che questo rientro preluda a una riedizione degli spettacoli invernali interni: la chiesa, che ab-

biamo usato come spazio fino al 2014, è destinata a diventare sala udienze del tribunale dei minori; i lavori per il restauro del teatro non sono mai partiti».

La storia della ragazza portata in sposa a un mostro, per scontare un affronto fatto dal padre, si sviluppa, come è noto, da un’iniziale paura e repulsione per l’orribile coniuge a un sempre maggiore affetto per l’essere strano, diverso. Ed è trasparent­e cosa la scelta di un tale soggetto voglia significar­e. Interessan­te saranno le soluzioni sceniche e il taglio registico.

«Altri modelli per la regia, che firmo come la drammaturg­ia con Elvio Pereira de Assunçao, sono stati il film di Jean Cocteau del 1946 e l’opera lirica di Philip Glass che riprende quella pellicola». Forte sarà la cifra figurativa: «È come uno strano film muto dal vivo. Non ci sono parole, ma solo azioni danzate, dietro un velo di tulle su cui vengono proiettate immagini disegnate da una giovane che frequenta l’Accademia, Carmina Melania Tramite. Su quello stesso “schermo” apparirann­o alcune scritte, come didascalie».

La scena è composta, inoltre, da sette grandi porte mobili su ruote che creano ambienti diversi, evocando i vari palazzi della vicenda. Il tema è evidenteme­nte il rapporto con la diversità. «Abbiamo fatto una prima tappa di questo progetto l’anno scorso nel carcere femminile di Pontremoli. Le attrici erano tutte donne e c’era una sola presenza maschile a indicare l’Altro. In questa versione le “bestie” sono maggiorita­rie e il femminile è minoranza: risalta l’alterità. Il finale, raccontato da Calvino, è il punto da cui siamo partiti. Bellinda, quando il Mostro si trasforma in principe, dice: “Ma io voglio il Mostro”. È una conclusion­e contro gli stereotipi del lieto fine, del “vissero felici, contenti e belli”. È l’opposto della chiusa consolator­ia del film di Walt Disney».

Billi

È come uno strano film muto dal vivo. Non ci sono parole, ma solo azioni danzate, dietro un velo di tulle su cui vengono proiettate immagini disegnate da una giovane che frequenta l’Accademia

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Colori Un momento dello spettacolo con le suggestive illustrazi­oni di Carmina Melania Tramite

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