Igor, l’inchiesta sui complici si è fermata in Spagna
La caccia ai complici e ai fiancheggiatori di Igor s’è arenata in Spagna. La traccia, qualcosa in più di un’ipotesi investigativa, si è persa proprio laggiù nell’agosto di un anno fa, quattro mesi prima che il serbo venisse arrestato nelle campagne d’Aragona dopo essersi lasciato alle spalle altri tre morti, oltre ai due omicidi italiani: quello del barista Davide Fabbri e della guardia ecologica Valerio Verri, commessi a Budrio e Portomaggiore tra l’1 e l’8 aprile.
È là, più che in Austria e Serbia, dove pure sono andati gli investigatori, che portavano le indagini di Procura e carabinieri ed è là che sono andati a bussare alla ricerca di una banda di trafficanti maghrebini. L’hanno fatto attraverso rogatorie rimaste lettera morta, ma anche con attività sul campo, indicando nomi e indirizzi di quel gruppo di spacciatori e falsari con i quali Feher era in contatto prima di diventare un killer super ricercato. Informazioni
Il fascicolo a Ferrara
Italiani e nomadi in contatto con Feher sono indagati, ma per furto e ricettazione
che, tuttavia, la polizia nazionale ha tenuto per sé e non ha mai condiviso con la Guardia civil. Un cortocircuito che è diventato l’elemento principale dell’accusa mossa alle autorità spagnole dai familiari dei due agenti e dell’agricoltore freddati a Teruel il 15 dicembre del 2017.
A un anno di distanza, quel filone investigativo è ancora in piedi ma con poche speranze di arrivare a una svolta, anche per la scarsa collaborazione tra autorità che di fatto ha impedito di trovare riscontri all’ipotesi che Feher sia stato aiutato dai suoi vecchi amici a lasciare l’Italia e Molinella, dove per mesi è andata avanti senza successo una gigantesca caccia all’uomo con i migliori reparti dell’Arma schierati nelle paludi tra Bologna e Ferrara. Tutto inutile. A oggi non c’è nulla di certo e anche la pista indicata da un marocchino detenuto a Biella (la fuga di Igor da Molinella sull’auto di un maghrebino di stanza a Malaga che gli avrebbe fornito passaporti falsi) si è infilata in un vicolo cieco. Come Feher sia riuscito a dileguarsi mentre era braccato da centinaia di uomini resta ancora un mistero, a meno di non voler dare credito alla traballante versione fornita dal serbo ai giudici spagnoli: «Sono fuggito in bici». Gli inquirenti restano convinti che la vecchia banda lo abbia aiutato, per lo meno all’arrivo in Spagna.
Il fascicolo del pm Marco Forte sui fiancheggiatori è tuttora contro ignoti. C‘è ancora qualche persona da sentire ma difficilmente si arriverà in fondo, a meno di colpi di scena in arrivo dalla Spagna.
Di recente è invece stato chiuso e mandato per competenza a Ferrara un altro filone che ha tenuto impegnati i carabinieri alla ricerca di possibili complici. Per mesi hanno pedinato, intercettato e monitorato le vecchie conoscenze di Igor, quel sottobosco criminale di italiani e nomadi con cui aveva trafficato in passato e che, ad esempio, gli diede ospitalità non appena uscito dal carcere dopo aver scontato la pena. All’epoca Feher, che aveva lasciato il Cie di Bari evitando incredibilmente l’espulsione, era un uomo libero e senza pendenze con la giustizia. Fu ospitato da un gruppo di nomadi in una baracca a Ferrara. Da quei contatti sono partiti i carabinieri nei giorni caldi della caccia all’uomo per capire se qualcuno l’avesse aiutato o fosse in grado di portarli al suo nascondiglio. Così non è stato. Le indagini hanno isolato solo illeciti commessi da piccoli criminali dediti a furti, ricettazione e spaccio di basso calibro. Una ventina di nomi sono stati iscritti per questi reati, nessuno per aver fornito appoggi o aiuti a Feher.
La Procura di Bologna si sta concentrando sul processo previsto a ottobre in videoconferenza. La difesa di Feher, avvocati Cesare Pacitti e Gianluca Belluomini, sta facendo altrettanto e potrebbe chiedere al giudice Alberto Ziroldi di acquisire la perizia psichiatrica fatta dagli spagnoli, ma anche di disporne una ad hoc per valutarne la capacità d’intendere e volere. Igor potrebbe sorprendere tutti e fornire la sua verità ma è difficile che dica qualcosa su eventuali complici. Si capisce dalle poche parole messe a verbale in Spagna davanti al procuratore Giuseppe Amato e al pm Forte il 23 marzo, prima di avvalersi della facoltà di non rispondere. «Se volete le mie dichiarazioni, lo Stato italiano mi deve pagare».