«Nuovi segni», Scalise mai letto prima
Recuperati e pubblicati racconti e poesie del drammaturgo finora inediti
Gregorio Scalise non può scrivere più dal 2009, quando è stato colpito da una malattia invalidante. Ma il poeta e drammaturgo nato in Calabria nel 1939, vissuto a Udine in gioventù e poi a Bologna, aveva lasciato varie opere non pubblicate. Racconti, soprattutto; e una raccolta di poesie già strutturata.
Quest’ultima, Nuovi segni, si riallacciava al suo libro più importante, La resistenza dell’aria, pubblicato da Mondadori nel 1982, contenete una sezione intitolata «Segni». Ora si può leggere, con le illustrazioni di Massimo Dagnino, nelle raffinate edizioni di Algra di Catania. Il volume, che sarà presentato alla libreria Irnerio il 6 ottobre, contiene vari brevi cicli composti di poesie asciutte fino all’epigramma o dilatate fino al poemetto. Ha scritto nella prefazione Maurizio Cucchi: «È questo un libro a volte misterioso, pur nella lucidità razionale del suo procedere». L’io, spinto dall’urgenza di conoscere, di vivere, di intessere relazioni, deve ritrarsi di fronte all’insondabilità delle cose, comprendendo «l’impossibilità di costruire una attendibile rappresentazione organica del reale», scrive Cucchi.
Scalise è noto soprattutto come poeta e come drammaturgo. In queste vesti ha avuto notevoli riconoscimenti. «I racconti sono stati una scoperta. Ne aveva scritti pochi, occasionalmente, per riviste o per antologie di gialli» ci spiega Michela Turra, che ha curato per Minerva la raccolta “Un silenzio popolato”. «Sono per lo più inediti che ho ritrovato tra le sue carte. Alcuni li aveva uniti in un’ipotesi di raccolta intitolata No stories. A quelli abbiamo anteposto un diario scritto in occasione di una residenza in Francia, presso la Maison des écrivains di SaintNazaire».
Tutte le storie, composte in vari anni, aggiustate, riscritte, e poi riposte nei cassetti contengono un fondo autobiografico e una intonazione esistenziale fortissima. Domina la solitudine, soprattutto nel diario che dà il titolo al volume: una solitudine attiva, ricercata come strada per la concentrazione e la rivelazione interiore, lontano dalle distrazioni quotidiane.
La città straniera per questo è insostituibile, come certi sprofondamenti nella periferia, o nella memoria, a rievocare attimi passati per cercare di riattizzare la scintilla della vita, dell’amore, di un impegno nel mondo ormai diventato inattuale.
Si legge: «Rievocare il passato è una scienza, un atto di magia. Perché quel passato può comunicarci davvero nuova vita (la vita dell’infanzia e della giovinezza di allora). Può inserirsi nella struttura del presente e rivitalizzare le sue scarnificate ed esangui sensazioni».