Corriere di Bologna

Don Graziano, dal pallone alla fede «Ballardini mi ha trasformat­o Con Casillo decisi di lasciare il calcio»

Lorusso vinse lo scudetto con Anaclerio, Traversa e Campione ma mollò presto «Ho scelto la mia strada in convento, il primo risultato che guardo è il Bfc»

- di Alessandro Mossini © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Dallo scudetto con i Giovanissi­mi 1988/89 del Bologna di Davide Ballardini al convento di Copertino: il regista di centrocamp­o Graziano Lorusso, uno dei ragazzi pugliesi portati in rossoblù da Sandro Tiberi (con Anaclerio, Traversa e il compianto Campione), ora è don Graziano, frate francescan­o dal 2004 e ordinato sacerdote nel 2013.

Classe 1974 nativo di Gravina di Puglia, ha all’attivo tre presenze in C1 con il Bologna del primo anno di Gazzoni e un Mondiale Under 17 giocato al fianco di Alessandro Del Piero, a battagliar­e in mediana contro l’Argentina di Juan Sebastian Veron. Viene da chiedergli se sia più difficile marcare quei due o ricoprire il ruolo attuale: «Entrambi sono compiti molto difficili: il periodo non è semplice, i giovani si stanno allontanan­do dalla fede e altre cose prendono il sopravvent­o. Però devo dire che alcuni aspetti che mi ha dato il calcio li ritrovo ora in ciò che faccio».

Sembra strano, ma è così. Il pallone a Don Graziano ha forgiato soprattutt­o il carattere: «Mi ha dato lo spirito di non mollare mai. Sono anche cappellano all’ospedale e il contatto con la malattia tutti i giorni è un’esperienza difficile. A volte i familiari aspettano il prete più del medico per avere qualcuno con cui parlare: se non avessi avuto il carattere che mi ha formato il calcio sarebbe stato ancora più duro».

Il pallone è il passato, anche se di partitelle con gli amici ne gioca ancora («e mi ritrovo ancora certi fondamenta­li appresi da Ballardini, che ora forse non si insegnano più»), ma quando gli impegni lo consentono guarda volentieri partite, gol e trasmissio­ni sportive. E senza dubbio vivrà come un piccolo derby personale Genoa-Bologna di domani: «Con Ballardini mi sento ancora, sono molto legato a lui e al suo vice Regno perché sono i primi che mi hanno insegnato a essere una persona di valore, prima che un calciatore. Bologna è il posto che mi ha accolto a 12 anni quando sono andato via di casa: è stata la mia vita e alla sera il primo risultato che vado a controllar­e è quello dei rossoblù. Domenica avrò il cuore diviso a metà». Proprio in rossoblù ha cominciato a sentire la vocazione che l’ha poi portato ad Assisi per la formazione teologica. E il calcio in minima parte un ruolo l’ha avuto: «Già nell’ultimo anno a Bologna — racconta — qualcosa stava cambiando. Certe cose accadute lì, come le difficoltà societarie del club o alcune delusioni, hanno influito nel processo di non vedere più il calcio come obiettivo assoluto».

Andò in panchina 16enne in A con Radice e Scoglio, il debutto sempre sfiorato «poi mi ritrovai in tribuna vedendo giocare chi magari faceva panchina in Primavera e capii che in questo mondo ci sono anche altri fattori». Gli anni da giovane prospetto con Ballardini, però, gli sono rimasti nel cuore. E gli hanno insegnato tanto: «L’anno dello scudetto non eravamo i più forti ma con i sacrifici e la disciplina del mister siamo arrivati lì, dopo il secondo posto di due anni prima. Davide insegnava prima di tutto la lealtà nei confronti del gruppo: se eri il più forte ma non ti allenavi bene stavi a guardare. Non c’è un giocatore che parli male di lui. Sono felice che abbia avuto una buona carriera, perché non gli ha regalato niente nessuno: Sacchi lo voleva in Under 21, coi giovani sarebbe stato perfetto».

Invece ora i giovani sembrano aver preso strade diverse, forse persino più facili, nel calcio come nella vita: «Quando vedo le partite attuali mi stupisce la mancanza di motivazion­i — sottolinea Lorusso — i tanti soldi che girano spesso le tolgono: arrivi subito al massimo e ti spegni. Forse la colpa è anche della gente che ha reso questi ragazzi degli dei troppo presto, ma in generale i giovani calciatori italiani oggi sembrano mancare di umiltà. Per dirla con San Giacomo, i soldi sono la radice di tutti i mali».

Don Graziano è uno che parla con passione, di ciò che ha fatto da ragazzino col pallone e di ciò che fa ora con i fedeli, in convento e all’ospedale nella sua Puglia. Portando però sempre Bologna nel cuore: «Lì oltre a Ballardini e Regno ho conosciuto tante altre persone speciali: Tiberi, Corioni e Pivatelli. Dormivo in convitto a Casteldebo­le, ora ho visto che hanno rifatto tutto. Saputo mi pare un presidente serio partito dalle fondamenta: la squadra magari non è granché, ma da pugliese e con l’esempio del Bari così recente la serietà del club non è poco. Anche se Bologna merita davvero il massimo». Parola di don Graziano.

Il tricolore dei giovani L’anno dello scudetto non eravamo i più forti ma con i sacrifici e la disciplina siamo arrivati lì. Davide insegnava la lealtà nei confronti del gruppo: se eri il più forte ma non ti allenavi bene stavi a guardare

La città e Saputo Lì oltre a Ballardini e Regno ho conosciuto tante altre persone speciali: Tiberi, Corioni e Pivatelli. Dormivo in convitto a Casteldebo­le, ora ho visto che hanno rifatto tutto: bravo Saputo, contano le fondamenta del club La nidiata pugliese Tiberi portò al Bologna tanti talenti poi la crisi di fine anni Ottanta condannò la società

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 ??  ?? Tricolore La formazione dei Giovanissi­mi del Bologna che vinse lo scudetto nel 1988-’89 allenata da Davide Ballardini (primo in alto da sinistra) Graziano Lorusso (ultimo in basso a destra) ha poi scelto la strada religiosa
Tricolore La formazione dei Giovanissi­mi del Bologna che vinse lo scudetto nel 1988-’89 allenata da Davide Ballardini (primo in alto da sinistra) Graziano Lorusso (ultimo in basso a destra) ha poi scelto la strada religiosa

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