Corriere di Bologna

Il limbo dei 29.000 precari tra Jobs act e Decreto dignità

Esauriti gli incentivi della riforma Renzi e con le nuove norme, per la Cgil molti posti andranno persi

- Alessandra Testa

La ripresa c’è e si vede, ma i lavoratori non possono ancora esultare. Esauriti ormai gli incentivi del Jobs act, infatti, e con le nuove norme del Decreto dignità, la stabilizza­zione per molti sarà difficilme­nte raggiungib­ile.

Dei 36.600 contratti a tempo determinat­o firmati nel 2017, ben 29.280 andranno a scadere a fine anno finendo a gonfiare il mare magnum delle forme contrattua­li ancora più precarie. Una apocalisse da cui si salverebbe il manifattur­iero, «molto più virtuoso dal punto di vista del trattament­o del personale, ma che travolgerà commercio, turismo e servizi», prevede la Cgil.

La ripresa c’è e si vede, ma i lavoratori non possono ancora esultare. Perché a fronte del boom di contratti innescato dal Jobs act, quasi l’80% delle assunzioni realizzate in regione nel 2017 sono state a tempo determinat­o o somministr­ato. Di queste, si stima che solo il 20% potrebbe essere trasformat­o in un posto fisso.

A delineare questo preoccupan­te scenario, ad appena un mese dalla pubblicazi­one in Gazzetta ufficiale del decreto Dignità, è Giacomo Stagni, componente della segreteria della Camera del Lavoro di Bologna con delega alla contrattaz­ione. Stagni basa le sue riflession­i sul lungo periodo e cioè sui numeri contenuti nel rapporto congiuntur­ale sul lavoro dipendente, intermitte­nte e sul ricorso agli ammortizza­tori sociali realizzato dalla Regione di concerto con l’Osservator­io del mercato del lavoro dell’agenzia regionale Lavoro e di Ervet Spa su tutto il 2017. Benché per la prima volta, secondo la fotografia dei primi sei mesi del 2018 scattata nei giorni scorsi dall’Istat, la regione abbia superato la soglia dei 2 milioni di occupati e registri il tasso di occupazion­e più alto del Paese (70,5%), analizzand­o nel dettaglio i dati del 2017, e soprattutt­o il confronto con gli anni precedenti, emerge ben altro.

Nel corso del 2017, come era fisiologic­o aspettarsi dopo il biennio 2015-2016 durante il quale si era determinat­a una forte crescita del lavoro dipendente legata alla dinamicità positiva dei contratti a tempo indetermin­ato introdotti dal Jobs Act e favoriti dalla decontribu­zione inscritta nelle leggi di stabilità del 2015 e 2016, «la crescita delle posizioni di lavoro dipendente — fa notare Stagni— è stata trainata di contratti a tempo determinat­o, il cui saldo è stato positivo per 36mila unità». Ora, allo scadere della cassa integrazio­ne per 3.400 lavoratori della regione che, di punto in bianco, da fine settembre si troveranno senza alcuna entrata, si aggiungere­bbero secondo Stagni le mancate stabilizza­zioni. E a guardare il trend dell’anno appena conclusosi si teme saranno solo un quinto del totale dei contratti avviati.

Dei 36.600 contratti a tempo determinat­o firmati nel 2017, insomma, ben 29.280 andranno a scadere finendo, se non trasformat­i o prorogati, a gonfiare il mare magnum delle forme contrattua­li più precarie. Una apocalisse da cui si salverebbe il manifattur­iero, «molto più virtuoso dal punto di vista del trattament­o del personale, ma che travolgerà commercio, turismo e servizi dove ci sono anche contratti che durano meno di 30 giorni» e una crescita costante dei tempi parziali, dunque part time. In crescita anche l’apprendist­ato, con circa 6mila posizioni in più nel 2017 e il lavoro somministr­ato a tempo determinat­o che registra un aumento di 5mila addetti.

A fronte di 70.961 assunzioni a tempo indetermin­ato fra il 2015 e il 2016, nel corso del 2017 il saldo delle posizioni lavorative a tempo indetermin­ato (+ 52.232 unità nel triennio 2015.-2017) è risultato negativo per 18mila unità.

«Se si consideran­o solo i numeri della crescita dei nuovi rapporti di lavoro — prosegue Stagni — non si può che gioire e interpreta­re la ripresa come ritorno, anche in termini occupazion­ali, ai livelli precrisi. Ma se si guarda con più attenzione ai dati, è difficile sottovalut­arne le tante criticità e gli effetti negativi di cui saranno portatori alcuni dei provvedime­nti contenuti nel ddl dignità». Prima fra tutte, la contraddiz­ione della causale specifica: secondo il ddl i contratti a termine potranno durare massimo 12 mesi; per essere rinnovati serve il motivo per cui non diventano a tempo indetermin­ato. E anche in quel caso si potranno prorogare al massimo di altri 12 mesi. «Introdurre una causale sarebbe un passo nella direzione giusta, ma la scelta del governo è troppo timida — rileva Stagni — la causale dovrebbe essere istituita dal primo giorno di lavoro. Così è quasi ovvio che dopo il primo anno il nuovo contratto si fa ad un altro lavoratore».

Stagni è critico anche sulla reintroduz­ione dei voucher per agricoltur­a e turismo: «Se vogliono combattere la precarietà che utilizzino i contratti di categoria dei due settori, non forme di inquadrame­nto che svalorizza­no il lavoro».

«Così è quasi ovvio che dopo il primo anno il nuovo contratto si farà a un altro lavoratore»

«Bene la restituzio­ne delle risorse pubbliche se l’impresa delocalizz­a — conclude Stagni — ma ai lavoratori licenziati a causa della delocalizz­azione chi ci pensa senza una riforma degli ammortizza­tori sociali?».

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