Il limbo dei 29.000 precari tra Jobs act e Decreto dignità
Esauriti gli incentivi della riforma Renzi e con le nuove norme, per la Cgil molti posti andranno persi
La ripresa c’è e si vede, ma i lavoratori non possono ancora esultare. Esauriti ormai gli incentivi del Jobs act, infatti, e con le nuove norme del Decreto dignità, la stabilizzazione per molti sarà difficilmente raggiungibile.
Dei 36.600 contratti a tempo determinato firmati nel 2017, ben 29.280 andranno a scadere a fine anno finendo a gonfiare il mare magnum delle forme contrattuali ancora più precarie. Una apocalisse da cui si salverebbe il manifatturiero, «molto più virtuoso dal punto di vista del trattamento del personale, ma che travolgerà commercio, turismo e servizi», prevede la Cgil.
La ripresa c’è e si vede, ma i lavoratori non possono ancora esultare. Perché a fronte del boom di contratti innescato dal Jobs act, quasi l’80% delle assunzioni realizzate in regione nel 2017 sono state a tempo determinato o somministrato. Di queste, si stima che solo il 20% potrebbe essere trasformato in un posto fisso.
A delineare questo preoccupante scenario, ad appena un mese dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto Dignità, è Giacomo Stagni, componente della segreteria della Camera del Lavoro di Bologna con delega alla contrattazione. Stagni basa le sue riflessioni sul lungo periodo e cioè sui numeri contenuti nel rapporto congiunturale sul lavoro dipendente, intermittente e sul ricorso agli ammortizzatori sociali realizzato dalla Regione di concerto con l’Osservatorio del mercato del lavoro dell’agenzia regionale Lavoro e di Ervet Spa su tutto il 2017. Benché per la prima volta, secondo la fotografia dei primi sei mesi del 2018 scattata nei giorni scorsi dall’Istat, la regione abbia superato la soglia dei 2 milioni di occupati e registri il tasso di occupazione più alto del Paese (70,5%), analizzando nel dettaglio i dati del 2017, e soprattutto il confronto con gli anni precedenti, emerge ben altro.
Nel corso del 2017, come era fisiologico aspettarsi dopo il biennio 2015-2016 durante il quale si era determinata una forte crescita del lavoro dipendente legata alla dinamicità positiva dei contratti a tempo indeterminato introdotti dal Jobs Act e favoriti dalla decontribuzione inscritta nelle leggi di stabilità del 2015 e 2016, «la crescita delle posizioni di lavoro dipendente — fa notare Stagni— è stata trainata di contratti a tempo determinato, il cui saldo è stato positivo per 36mila unità». Ora, allo scadere della cassa integrazione per 3.400 lavoratori della regione che, di punto in bianco, da fine settembre si troveranno senza alcuna entrata, si aggiungerebbero secondo Stagni le mancate stabilizzazioni. E a guardare il trend dell’anno appena conclusosi si teme saranno solo un quinto del totale dei contratti avviati.
Dei 36.600 contratti a tempo determinato firmati nel 2017, insomma, ben 29.280 andranno a scadere finendo, se non trasformati o prorogati, a gonfiare il mare magnum delle forme contrattuali più precarie. Una apocalisse da cui si salverebbe il manifatturiero, «molto più virtuoso dal punto di vista del trattamento del personale, ma che travolgerà commercio, turismo e servizi dove ci sono anche contratti che durano meno di 30 giorni» e una crescita costante dei tempi parziali, dunque part time. In crescita anche l’apprendistato, con circa 6mila posizioni in più nel 2017 e il lavoro somministrato a tempo determinato che registra un aumento di 5mila addetti.
A fronte di 70.961 assunzioni a tempo indeterminato fra il 2015 e il 2016, nel corso del 2017 il saldo delle posizioni lavorative a tempo indeterminato (+ 52.232 unità nel triennio 2015.-2017) è risultato negativo per 18mila unità.
«Se si considerano solo i numeri della crescita dei nuovi rapporti di lavoro — prosegue Stagni — non si può che gioire e interpretare la ripresa come ritorno, anche in termini occupazionali, ai livelli precrisi. Ma se si guarda con più attenzione ai dati, è difficile sottovalutarne le tante criticità e gli effetti negativi di cui saranno portatori alcuni dei provvedimenti contenuti nel ddl dignità». Prima fra tutte, la contraddizione della causale specifica: secondo il ddl i contratti a termine potranno durare massimo 12 mesi; per essere rinnovati serve il motivo per cui non diventano a tempo indeterminato. E anche in quel caso si potranno prorogare al massimo di altri 12 mesi. «Introdurre una causale sarebbe un passo nella direzione giusta, ma la scelta del governo è troppo timida — rileva Stagni — la causale dovrebbe essere istituita dal primo giorno di lavoro. Così è quasi ovvio che dopo il primo anno il nuovo contratto si fa ad un altro lavoratore».
Stagni è critico anche sulla reintroduzione dei voucher per agricoltura e turismo: «Se vogliono combattere la precarietà che utilizzino i contratti di categoria dei due settori, non forme di inquadramento che svalorizzano il lavoro».
«Così è quasi ovvio che dopo il primo anno il nuovo contratto si farà a un altro lavoratore»
«Bene la restituzione delle risorse pubbliche se l’impresa delocalizza — conclude Stagni — ma ai lavoratori licenziati a causa della delocalizzazione chi ci pensa senza una riforma degli ammortizzatori sociali?».