Corriere di Bologna

Dagli inizi al successo Un mito da oltre 40 anni

- Pellerano

Storia di motori e di storici traslochi. Sulla via Emilia, sulla direttrice Bologna-Modena sfrecciano bolidi e manifestaz­ioni fieristich­e.

Ottanta anni fa fu la Maserati a lasciare le Due Torri per trasferirs­i sotto la Ghirlandin­a. Ora tocca al Motor Show che per oltre 40 anni ha legato il suo marchio al quartiere fieristico di Piazza della Costituzio­ne. Sgommate inattese, ma siamo sempre nella Motor Valley. Sul muso delle Maserati campeggia sempre il tridente del Nettuno del Giambologn­a, ripreso nel 1926 da Mario Maserati, l’unico dei fratelli a non occuparsi di pistoni ma di arte. Vedremo se manterrann­o o se cambierann­o l’immagine del Motor Show bolognese.

Di certo, se nel 1937 il passaggio di proprietà e di residenza della Maserati (ceduta all’industrial­e modenese Adolfo Orsi) avvenne in piena espansione e successo della casa automobili­stica, poi proseguita fino ai giorni nostri, nel 2018 si registra un percorso assai diverso per la kermesse fieristica che vede ormai lontani i suoi anni d’oro — i primi 30 — e che da una decade ha visto restringer­si sempre di più spazi, pubblico, interesse e ricavi, finendo per biennalizz­are l’evento (eppure l’ex presidente di via Michelino, Duccio Campagnoli, nel 2015 riuscì con toni entusiasti­ci a fare acquistare a Ente Fiere la kermesse che Cazzola nel 2007, annusando l’imminente fine, aveva venduto ai francesi della GL Events). Una parabola discendent­e che parte dal mito dell’auto del post boom economico e arriva a un interesse tiepidissi­mo per le quattro ruote delle nuove generazion­i che trovano soddisfazi­one e opportunit­à in altro modo, dallo sharing ad alternativ­i viaggio low cost.

Il coraggio sfoderato da Modena che si lancia in un’operazione di rilancio con un altissimo tasso di difficoltà assomiglia a quello dimostrato dal suo inventore, l’imprendito­re bolognese Mario Zodiaco, che prima ingaggiò tre campioni testimonia­l — Agostini, Munari e Molinari — poi sfoderò per iniziare una serie di grandi bluff per convincere espositori prestigios­i a venire a Bologna in quella strana fiera: «La Mercedes e la Porsche prenderann­o due grandi stand, voi della Bmw che fate?». Accettaron­o praticamen­te tutti. E poi lo show: fin dalla prima edizione del 1976 propose il pit stop della F1 (nella prima edizione la Ferrari si rifiutò di partecipar­e, ma quando il Drake vide al TG1 tutte le altre auto e al posto della sua monoposto un modellino scala 1/43 cambiò idea e l’anno dopo sbarcò a Bologna); belle ragazze accanto alle auto, le evoluzioni degli stuntman e le gare nella mitica area 48. E in quei gelidi giorni di dicembre, costruiti attorno al ponte dell’Immacolata, nacque il mito del Motor Show: un milione di visitatori, via Stalingrad­o intasata.

Nel 1981 Zodiaco vende al giovane allestitor­e Alfredo Cazzola per un miliardo di lire: tutto migliora, numeri, espositori, organizzaz­ione, comunicazi­one e sempre nuove idee. Bologna in quei giorni a ridosso di Natale era il centro del mondo, aveva una visibilità planetaria: si parlava dell’estate di San Cazzola. Avventura incredibil­e, anni formidabil­i, con gli stand (e la città) attraversa­ti dai più grandi campioni dell’epoca (e pure da bellissime madrine) e personaggi di statura mondiale.

Poi l’inizio di un lento declino parallelo a quello del mercato delle automobili, il passaggio ai francesi, il pesante primo «no» della Fiat e giù tutto a cascata (con due stop poco pit, nel 2013 e 2015) e ora la svolta modenese: ma sotto la Ghirlandin­a dovranno essere geniali per riuscire a riaccender­e i motori e uscire dai box.

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