Una «lezione» di famiglia
Il film della settimana
«Un affare di famiglia»: chi sono le persone di età diversa che vivono in un umile appartamento giapponese, sbarcando il lunario attraverso espedienti, piccoli furti e lavori poco pagati? C’è una coppia, formata da Osamu e Nobuyo, c’è un ragazzino, un’anziana signora e poi anche una bambina traumatizzata, che Osamu trova per strada e decide di accogliere in casa. Ovviamente la scelta, un po’ impulsiva, avrà conseguenze molto rilevanti. Tutta la prima parte del film di Hirokazu Kore-eda si svolge con realismo e lentezza, indagando questa comunità di apparenti consanguinei, raccontando una quotidianità fatta di povertà e sostegno reciproci. E raccontando scelte illegali ma motivate.
Si sa, ogni famiglia è imperfetta e ogni ritratto di gruppo in un interno ha a che fare con piccoli affetti e piccole incomprensioni. Niente cui non siamo abituati. La vera svolta – che però non possiamo raccontare, pena la perdita di passaggi emotivi molti particolari – permette di rovesciare il nostro punto di vista, e di rendere «Un affare di famiglia» un film esemplare per come dice qualcosa di importante sul nostro modo di identificarci con i personaggi. Si tratta di una lezione umana e umanista che Hirokazu Koreeda offre con estrema naturalezza, e con un nitore che rimanda (anche se può sembrare scolastico affermarlo) ai classici nipponici del passato, quasi a trovare un improbabile punto di congiunzione tra Ozu e il primo Kurosawa. Anche dal punto di vista stilistico, il formalismo rituale del primo si stempera nel nerbo narrativo e «di genere» del secondo.
Non impressionino paragoni così vistosi, perché questo regista è oggi uno dei pochi capaci di immaginare ancora il cinema come luogo di profonda riflessione sociale e il film come exemplum per significati alti e spiazzanti.