Corriere di Bologna

Indagato il viceprefet­to Sallusto

Per l’alto funzionari­o di Palazzo Caprara si ipotizza il reato di rivelazion­e del segreto d’ufficio L’inchiesta veneta sui presunti favori alle coop per la gestione degli hub tocca Bologna

- Priante

L’onda lunga dell’inchiesta di Padova sui presunti favori alle coop impegnate nella gestione dell’immigrazio­ne tocca (di nuovo) Bologna. Le presunte connivenze con Ecofficina, la coop che gestisce alcuni dei più importanti hub per l’accoglienz­a in Veneto, trascinano nell’inchiesta Alessandro Sallusto, all’epoca in servizio a Padova e dal 2016 viceprefet­to a Bologna: è accusato di rivelazion­e di segreto d’ufficio e in queste ore sarebbe stato raggiunto da un avviso di garanzia.

L’onda lunga dell’inchiesta di Padova sui presunti favori alle coop impegnate nella gestione dell’immigrazio­ne tocca (di nuovo) a Bologna. Le presunte connivenze di Ecofficina, la coop che gestisce alcuni dei più importanti hub per l’accoglienz­a in Veneto, trascinano nell’inchiesta un altro vice prefetto, all’epoca in servizio alla Prefettura di Padova e dal 2016 trasferito a Palazzo Caprara: nei confronti di Alessandro Sallusto si ipotizza il reato di rivelazion­e di segreto d’ufficio e in queste ore sarebbe stato raggiunto da un avviso di garanzia. A Bologna, come noto, è indagata anche la funzionari­a Tiziana Quintario, pure lei spedita sotto le Due Torri quando finì indagata in una costola dell’inchiesta. La stessa indagine nella quale è stata intercetta­ta (ma non indagata) l’attuale prefetto di Bologna Patrizia Impresa, anche lei provenient­e da Padova. Frasi che hanno scatenato polemiche a non finire: «Anche se dobbiamo fare schifezze Pasqua’... noi ci dobbiamo salvare», diceva rivolgendo­si all’allora suo braccio destro, l’ex viceprefet­to Pasquale Aversa.

Ieri i carabinier­i di Padova hanno acquisito documenti nelle prefetture di Venezia e della città del Santo. Bocche cucite da parte degli inquirenti ma, stando alle indiscrezi­oni, gli investigat­ori avrebbero chiesto le relazioni e il materiale relativo agli appalti tra il 2015 e il 2016. Nei registri degli indagati delle due procure sono finiti altri nomi di primo piano: un (attuale) prefetto e, appunto, due viceprefet­ti. Il pm Sergio Dini ha aperto un nuovo filone investigat­ivo scaturito dalla maxi-inchiesta chiusa il mese scorso e che avanzava ipotesi di reato che vanno dalla frode nelle pubbliche forniture alla truffa. Ma se in quella prima fase erano finiti sotto accusa i vertici di Ecofficina (oggi Edeco), Aversa e Quintario,la nuova indagine punta dritto sul viceprefet­to Sallusto, che a Bologna ha le deleghe su Ordine e Sicurezza Pubblica e Protezione civile.

L’ipotesi della Procura, tutta da dimostrare, è che anche lui avrebbe trovato il modo di favorire Ecofficina, rivelando notizie relative alle attività (anche ispettive) che riguardaro­no i centri di accoglienz­a allestiti nell’ex base militare di Bagnoli di Sopra e alla «Prandina» di Padova, entrambi gestiti dalla coop che ha sede a Battaglia Terme. Fatti che emergerebb­ero dalle migliaia di intercetta­zioni che costituisc­ono l’ossatura dell’indagine chiusa ad agosto. Il fronte veneziano - che già a gennaio aveva visto indagati i vertici di Ecofficina - è coordinato dal procurator­e aggiunto Adelchi d’Ippolito e coinvolge l’allora viceprefet­to di Venezia, oggi prefetto a Bolzano, Vito Cusumano e il viceprefet­to Paola Spatuzza. Anche in questo caso i magistrati vogliono accertare se vi siano stati favoritism­i nei confronti di Ecofficina che tuttora gestisce il più grande hub del Veneto: quello di Cona, già a centro di rivolte per le pessime condizioni di vita al suo interno.

In queste settimane si sono levate diverse voci a difesa degli indagati, tutte concordi nel ricondurre le frasi intercetta­te al clima di emergenza che le prefetture erano costrette a fronteggia­re in quel periodo, quando in Veneto arrivavano centinaia di profughi ogni settimana. «Da qualche parte dovevamo metterle», si è sfogata il prefetto Patrizia Impresa in una intervista. «Dal governo arrivavano continue pressioni per accoglierl­i. Eravamo soli ad affrontare un fenomeno nuovo».

Come detto sul conto di Sallusto pesano le intercetta­zioni. È il 6 novembre 2015, quando parla al telefono con la «sua» funzionari­a Quintario. Le chiede di essere aggiornato sui nuovi arrivi di profughi a Padova e dice che «devono essere bloccati» perché «non c’è spazio per tutti». Lei fa presente che Simone Borile (patron di Ecofficina) invece «suggerisce di prendere anche gli altri, perché se no lui va troppo sotto...». Quintario, spiega che alla caserma «Prandina» la coop ha allestito «il tendone con 200 posti, che deve essere scaldato» ma che se i migranti vengono spostati altrove le spese aumentano: «Capito qual è il discorso? Perché tanti fanno anche l’effetto pecora, quindi diminuisce il consumo del riscaldame­nto, capito?». Lui ci scherza sopra («Come sei venale») ma poi rivede la sua scelta iniziale in favore di Ecofficina: «Va bene, morale della favola ci prendiamo tutti quelli che arrivano». E, ancora, il 12 luglio 2016, «Aversa fece informare Borile dal viceprefet­to Sallusto dell’ispezione da parte dell’Ulss presso l’hub Bagnoli di Sopra programmat­a per le 15 del 13 luglio». Da un’altra intercetta­zione (24 novembre 2015) sembra trapelare il fatto che Sallusto fosse a conoscenza che la Quintario agevolasse la coop negli appalti, al punto che era lo stesso patron di Ecofficina a inviarle il materiale: per la fornitura dei moduli, gli dice, «farà una gara per la quale si è fatta mandare il progetto da Borile».

«L’effetto pecora» In una telefonata, si parla del calore umano necessario per tenere strutture calde

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