Corriere di Bologna

SINE QUA NON

- di Marino Bartoletti

Non è poi così brutto il bianconero. Dipende da chi lo indossa. Molto interessan­te, qui sul Corriere, il dibattito aperto da Alessandro Mossini sulla gestione delle forze e sull’individuaz­ione degli obiettivi. Resta il fatto che Pippo Inzaghi, risultati e pallottoli­ere alla mano, ha avuto ragione. E questo autunno, inaugurato tanto bene domenica scorsa con la vittoria sulla Roma, è proseguito ieri con quella sull’Udinese. E la classifica riprende serenità e colore. Trovate nelle altre pagine commenti ben più autorevoli sulla partita rispetto a quello che io possa esprimere dalla mia collina dove non prendono bene, né gli umori, né il wifi. Ma dove ogni tanto sale prepotente — e senza banda larga — il fascino delle ricorrenze. Tutti voi sapete perché il Dallara si chiama Dallara (spesso l’apostrofo è divorato dall’ingordigia dei tempi): ovviamente perché Renato Dall’Ara, rustico eppur geniale imprendito­re, proprio all’inizio dell’autunno di 84 anni fa, all‘alba del suo quarantadu­esimo compleanno (era nato il 10 ottobre del 1892) prese in mano un Bologna peraltro ai vertici del calcio italiano e dopo appena una stagione di assestamen­to vinse il primo di quattro scudetti in sei anni (a cui va ovviamente aggiunto quello tutto suo col quale festeggiò, seppur in cielo da quattro giorni, i suoi trent’anni di presidenza). Le trattative coi giocatori prevedevan­o un breve colloquio e un contratto annuale: dell’eventuale rinnovo si sarebbe parlato nel caso lo si fosse meritato.

Scrisse di lui il grande Bruno Raschi: «Dall’Ara è attaccato al bilancio come la puntina da disegno al foglio del geometra…». Passati gli anni bui del dopoguerra, senza mai derogare alle sue idee, imbastì il suo ultimo capolavoro tricolore (questa volta con un Bologna che proveniva dal limbo della metà classifica, proprio come quello degli ultimi anni). Si affidò a Fulvio Bernardini da cui tutto lo separava, a parte l’intelligen­za (certo, nel caso del «dottore» declinata in maniera un po’ più snob) e l’amore sincero per il calcio e soprattutt­o per «quei» colori a cui donò letteralme­nte la vita. Insomma, scelse l’uomo giusto.

Lo prendevano in giro perché diceva strafalcio­ni passati alla storia: «Il nostro giocatore è assente perché è accorso al capezzolo della moglie», «Fiat lux», faccia lei, «Sine qua non», siamo qua noi. Già, ma ora chi è il titolare del «sine qua non 2.0» per tenere alto il buon nome del Bologna? Da come ha impostato, malleato, gestito la partita direi che Pippo potrebbe essere un buon candidato.

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