Aemilia, i giudici blindati in questura
La corte si chiuderà in una camera di sicurezza ad hoc per emettere il verdetto
Dall’aula bunker del Tribunale ai locali della Questura di Reggio Emilia. Per almeno 15 giorni il presidente Francesco Maria Caruso e i giudici Cristina Beretti e Andrea Rat, componenti del collegio del maxi processo sulla ‘ndrangheta d’Emilia, si riuniranno in camera di consiglio per emettere la storica sentenza. Per ragioni di sicurezza resteranno isolati negli uffici della polizia: mangeranno, dormiranno e lavoreranno per definire il processo contro i clan.
Dall’aula bunker del Tribunale ai locali della Questura di Reggio Emilia. Per almeno quindici giorni il presidente Francesco Maria Caruso e i giudici a latere Cristina Beretti e Andrea Rat, componenti del collegio del maxi processo sulla ‘ndrangheta d’Emilia, si riuniranno in camera di consiglio per emettere la storica sentenza.
Per ragioni di sicurezza resteranno isolati nelle tre camere messe a disposizione dalla polizia in via Dante: mangeranno, dormiranno e soprattutto lavoreranno per definire il più importante
Imputati in 148
Dopo 2 anni e mezzo e 200 udienze, il 16 ottobre il collegio si ritirerà per la decisione
processo contro i clan cutresi mai celebrato in regione. Non era mai accaduto prima. Sul luogo più adatto a ospitare la camera di consiglio c’è stata una lunga riflessione tra le autorità e alla fine si è convenuto che il Tribunale non potesse garantire ai giudici la dovuta tranquillità e sicurezza. Di qui la decisione di mettere a disposizione i locali della Questura per permettere ai giudici di isolarsi dal contesto ambientale esterno in un momento così delicato.
Il processo è ormai alle battute finali. Restano da celebrare due udienze, l’11 e il 16 ottobre, in gran parte dedicate alle dichiarazioni spontanee dei pentiti Antonio Valerio e Salvatore Muto, poi i giudici si ritireranno in camera di consiglio per la sentenza che potrebbe arrivare tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Un dibattimento durato due anni e mezzo, con quasi 200 udienze e migliaia di atti, che vede imputate 148 persone: presunti boss, affiliati, manovali della cosca, colletti bianchi e imprenditori che, nell’accusa tratteggiata dai pm della Dda di Bologna Marco Mescolini, da poco alla guida della Procura di Reggio, e Beatrice Ronchi, hanno permesso alla cosca legata ai Grande Aracri di Cutro di prosperare e dettare legge lungo la via Emilia.
Nel corso della requisitoria i pm, che hanno chiesto la condanna di tutti gli imputati a pene complessive che superano i 1.000 anni di reclusione e 200mila euro di multa, hanno ribattuto alle difese e fatto quadrato attorno ai collaboratori di giustizia, «la cui attendibilità va ritenuta estremamente acclarata». C’è di più. Mescolini e Ronchi hanno depositato a sorpresa una richiesta di custodia cautelare in carcere per tutti gli imputati, attualmente a piede libero o ai domiciliari, che dovessero essere condannati per associazione mafiosa. I legali degli imputati hanno tentato di demolire la credibilità dei pentiti e la natura stessa attribuita dall’accusa all’associazione mafiosa, chiedendo assoluzioni a pioggia.
Un altro tema trattato negli ultimi giorni, proprio durante la cerimonia d’insediamento del procuratore Mescolini, è la sede del futuro processo d’appello. Quella naturale è Bologna ma a Palazzo Baciocchi non ci sono le condizioni per celebrare un dibattimento che si preannuncia con molti imputati. Lo ha sottolineato il procuratore generale Ignazio De Francisci avanzando l’idea di celebrare l’appello ancora nell’aula bunker allestita appositamente al Tribunale di Reggio Emilia. Se ne riparlerà più avanti. L’attesa ora è solo per la sentenza.