Uffizi, in mostra Vasari e i rapporti controversi con gli artisti bolognesi
Sappiamo che Michelangelo lavorò solo per un anno a Bologna, realizzando tre statue che si possono ancora ammirare in San Domenico. Secondo Giorgio Vasari, biografo mediceo degli artisti, lo scultore sarebbe fuggito dalla nostra città perché «qui perdeva tempo». Non è tenero il pittore e architetto aretino, patriarca degli storici dell’arte, con la vita artistica sotto le Due Torri, che definisce senza scuola, troppo pratica, scagliandosi in particolare contro Amico Aspertini.
Le Gallerie degli Uffizi a Firenze hanno inaugurato una mostra intitolata «D’odio e d’amore – Giorgio Vasari e gli artisti a Bologna», realizzata grazie a un lungo lavoro di ricerca con materiali conservati in sede. A cura di Marzia Faietti e Michele Grasso, raccoglie disegni, stampe, quadri e fonti bibliografiche; si può visitare fino al 2 dicembre nella sala Edoardo Detti del Gabinetto dei disegni e delle stampe del museo fiorentino. L’odio è presto raccontato, proprio con una nota su Amico Aspertini di
Vasari, tratta dalla «Vita di Bartolomeo da Bagnacavallo e d’altri Pittori Romagnuoli», edizione del 1568. Scrive il toscano, dopo il soggiorno sotto le Due Torri del 1539: «Né è maraviglia che quella d’Amico fusse più pratica che altro, perché si dice che, come persona astratta che egli era e fuor di squadra dall’altre, andò per tutta Italia disegnando e ritraendo ogni cosa di pittura e di rilievo, e così le buone come le cattive… le quali fatiche furono cagione che egli fece quella maniera così pazza e strana». Era un anticlassico per eccellenza, Amico, formatosi guardando i pittori nordici e la realtà: «eccentrico e irregolare» lo definiva Andrea Emiliani nel catalogo della bella mostra realizzata in città nel 2008. Così non poteva non dispiacere a un gusto formatosi alla scuola dei grandi maestri del Rinascimento come quello del Vasari, che allargava il suo giudizio velenoso agli altri artisti petroniani contemporanei, definendoli con «il capo pieno di superbia e di fumo». Eppure nel titolo alla parola odio ne è affiancata un’altra: amore. Perché il critico, qualche anno dopo, fiutando la nuova aria che spirava da questa parte dell’Appennino, muta parere. Pesava sul primo anatema la sua formazione accademica, che rifiutava ciò che si muoveva fuori dei canoni. Il giudizio si rovescia tra il 1539 e 1568, «in un’epoca in cui cambia in modo radicale anche tutto il panorama artistico in Italia», nota il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt. Come la valutazione di Prospero Fontana, maestro dei Carracci, è totalmente diversa, molto positiva. La mostra permette di vedere materiali altrimenti di difficile accesso e di seguire i ragionamenti di Vasari confrontando varie opere. (ma.ma.)